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AST | Recupero e diffusione degli inventari degli archivi toscani
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15. Atti parrocchiali. Originali

Livello: sezione

Estremi cronologici: 1585 mar. 20 - 1928 lug. 28

Consistenza: 251 unità

Tra le disposizioni dirette ad evitare i matrimoni clandestini e i possibili tentativi di contrarre un nuovo matrimonio, come pure a prevenire il pericolo di incorrere nell'impedimento matrimoniale della cognatio spiritualis (parentela spirituale che si contraeva tra i padrini, il battezzato e i genitori e tra il battezzante, il battezzato e i genitori), il Concilio di Trento prescrisse, nel 1563, l'obbligo del libro dei matrimoni e del libro dei battezzati (sess. 24, de ref., cap. 1 e 2). L'obbligo implicava la tenuta di un archivio che per la prima volta compare nella legislazione universale. I libri parrocchiali erano richiesti per motivi pastorali e non per intenti statistici. Nel 1614, il papa Paolo V portò a cinque i libri parrocchiali: oltre a quelli dei battezzati e dei matrimoni, richiese la compilazione dei libri dei cresimati, dei morti e dello stato delle anime (Rituale Romanum, tit. X cap. 2 n. 7). Lo stato delle anime era il registro in cui il parroco iscriveva tutti i nuclei familiari (con i loro componenti, relazione di parentela, età, professione, indicazione della località e del podere, provenienza), compresi nel territorio della parrocchia. Veniva compilato durante la Quaresima nella benedizione delle case. Il libro serviva anche per controllare quanti parrocchiani rimettevano il precetto pasquale e coloro che avevano ricevuto la Cresima. Le sigle C e Cr, segnate a margine di ciascun nome, stavano appunto ad indicare l'avvenuta recezione della Comunione e della Cresima.
A Prato, già prima del Concilio di Trento, ogni pieve aveva il suo libro dei battezzati: la pieve e collegiata di S. Stefano, almeno dal 1482; quella di Filettole, dal 1503; quella di S. Ippolito in Piazzanese, dal 1525; quella di S. Ippolito di Vernio, dal 1533; quelle di S. Giusto, di Iolo e di Sofignano, dal 1535. La collegiata di Prato teneva anche altri registri, ad es. quello dei morti, dal 1557. Nelle chiese di Prato era d'obbligo anche il libro dello stato delle anime, almeno fino dai primi decenni del XVI secolo 1 . Nel 1503, lo speziale e pittore Michele Guizzelmi fu incaricato dai riformatori dello Statuto del Comune di Prato di «schrivere tutti e' fanculi maschi e femmine che si batezerano in nella pieve di Prato» dalla morte del mercante pratese Filippo di Goro Inghirami (1480) in poi, «e mettere a libro di charta pecora», allo scopo di «havere notitia della età delle fanciulle et garzoni per ogni occorentia», ma in particolare per poter procedere all'assegnazione dei cinque posti di studio e delle otto doti che Filippo aveva istituito con il suo testamento del 16 mag. 1480 a favore di giovani e di ragazze pratesi 2 . Come si vede, i libri parrocchiali erano considerati, oltre che documenti pubblici ecclesiastici, veri registri di stato civile, facenti fede anche nel foro laico.
Il vescovo Gherardo Gherardi (1679-1690), publico bono prospiciens, ordinò ai parroci di depositare nella cancelleria vescovile tutti i libri parrocchiali, già completi, fino all'anno 1650, ut in Archivio Episcopali ad publicam conserventur utilitatem. Nel sinodo diocesano del 1694, il vescovo Leone Strozzi rinnovò il decreto e, nel sinodo del 1721, il vescovo Colombino Bassi prescrisse il deposito dei libri fino all'anno 1700 3 . Nel 1784 in conseguenza della riorganizzazione delle parrocchie della città di Prato, formulata dal vescovo Scipione de' Ricci e recepita integralmente e decretata con il motuproprio del 22 lug. 1783 dal granduca Pietro Leopoldo (v. n. 160), tutti i registri parrocchiali dovettero essere depositati nell'archivio della Curia 4 .
In calce alla serie sono riportati un «registro di morti di varie cure», un «libro di morti della Banca episcopale», ambedue della fine del XVII secolo, e vari inserti con le liste dei nomi dei «soldati spagnoli» morti in Prato durante il passaggio e l'acquartieramento degli anni 1735-1736 (v. nn. 1618-1620).