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AST | Recupero e diffusione degli inventari degli archivi toscani
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Soggetto conservatore:

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A) Atti relativi al dazio consumo

Livello: sottoserie

Estremi cronologici: 1864 set. 1 - 1931

Consistenza: 49 unità

Nel caso d'insufficienza delle loro rendite, la legge comunale del 1865 ammetteva che i comuni, per sostenere i pesi e le spese «necessarie», potessero «istituire dazi da riscuotersi per l'esercizio, o per abbonamento, sui commestibili, materiali da costruzione, foraggi, strame e simili destinati alla consumazione locale», imporre alcune imposte enumerate dalla legge e «fare sovrimposte alle contribuzioni dirette» sui terreni e sui fabbricati (art. 118).
In materia di dazio-consumo la legge fondamentale è tuttavia quella del 3 luglio 1864 n. 1827 che, in seguito a diverse modifiche, venne coordinata nel testo unico approvato col R.D. 15 aprile 1897 n. 161 1 .
Il comune poteva sovrimporre una tassa fino al 50% del dazio governativo sul vino, l'aceto, l'acquavite, l'alcool, i liquori, le carni, il riso, gli oli, il burro, il sego, lo strutto e lo zucchero ((R.D.L. 28 giugno 1866) e imporre un dazio proprio sulle materie elencate nella legge comunale del 1865 nei limiti del 20% del valore.
Per l'applicazione della tassa i comuni furono classificati in quattro classi a seconda della popolazione e divisi in «chiusi» o «aperti». Nei comuni «chiusi», come quello pratese, il dazio veniva riscosso all'ingresso del territorio comunale, mentre in quelli «aperti» e nelle porzioni dei comuni «chiusi» al di fuori della cinta daziaria, il dazio si percepiva sulla vendita al minuto.
L'esazione dei dazi di consumo era effettuata nel comune di Prato mediante speciali uffici e uno speciale corpo di impiegati e salariati disciplinati, oltre che dalle leggi in vigore, dai regolamenti deliberati dal consiglio comunale in data 16 febbraio 1869 e 10 febbraio 1874, dal R. Commissario straordinario il 13 dicembre 1905 e l'11 gennaio 1906 (Prato, Giachetti, 1906), dal consiglio comunale il 18-19 luglio e 6 settembre 1912 (Prato, Spighi, 1912), il 5 e 26 luglio 1915 e 14 settembre 1916 (Prato, Martini, 1917), dal podestà il 10 novembre 1928 e 7 settembre 1929 (Prato, Nutini, 1930).
Gli uffici daziari di esazione risiedevano alle singole barriere della città (Porta al Serraglio, Porta Pistoiese, Porta S. Trinità, Porta Fiorentina, Porta Mercatale, Stazione ferroviaria). Il personale si divideva in quello «di banco» e in quello «di strada». Componevano il primo i ricevitori, ai quali era affidata la riscossione dei dazi e la tenuta dei registri d'amministrazione. Nel secondo gruppo erano compresi i venditori (aventi il compito di avvertire il pubblico che attraversava le barriere daziarie del dovere di pagare il dazio e di chiedere a tutti se portavano con sé oggetti e generi ad esso soggetti) e i volanti (che svolgevano il servizio di accompagnamento dagli uffici del dazio ove erano consentiti i transiti).
Il personale di controllo si componeva del capo-controllo, dei «controlli» e di un determinato numero di guardie daziarie. Al vertice di tutto il personale era preposto un direttore.
Con atto del Commissario prefettizio Oriolo del 7 febbraio 1923 venne operata la riforma daziaria con l'ampliamento della cinta ai confini territoriali del comune. Da tempo, infatti, la popolazione lamentava il disagio derivante dal «sistema daziario che chiude nella barriera monumentale delle mura quattrocentesche soltanto quindici dei sessantamila abitanti, soltanto dieci dei 250 stabilimenti industriali onde è fiorente il Comune». Con la trasformazione del sistema daziario e la riduzione da 103 a 31 dei generi tassabili, si ritenne opportuno, ai termini del D.L. 25 maggio 1919 n. 911, conferire la gestione del dazio ad assuntore privato con la forma dell'aggio 2 .
Col riordinamento attuato dal R.D. 24 settembre 1923 n. 2030, lo Stato rinunciò definitivamente ai dazi di sua spettanza, operò una revisione legislativa delle tariffe e perequò il tributo fra le diverse categorie di consumatori.
Con l'abolizione dei dazi di consumo nel 1930, i comuni vennero autorizzati alla riscossione delle «imposte di consumo» su pochi generi di largo e non indispensabile consumo (bevande vinose ed alcoliche, birra, acque minerali, carni, materiali da costruzione, gas-luce, energia elettrica) (cfr. R.D.L. 20 marzo 1930, n. 141).
Col testo unico sulla finanza locale (1911), se furono aumentate le voci da assoggettare a imposta di consumo, vennero però meglio disciplinati i metodi e i criteri d'applicazione.