Livello: serie
Estremi cronologici: 1310-1776Consistenza: 228 unità
3. Le modalità di produzione dei
registri di deliberazioni
Per una corretta fruizione e
comprensione delle dinamiche di produzione documentaria occorre valutare i
cambiamenti delle forme di registrazione dei verbali dei consigli in una prospettiva
di lungo periodo, considerando nel contempo anche i cambiamenti nelle modalità di
condizionamento ed organizzazione della memoria deliberativa colligiana. Considerare
tali cambiamenti diventa un presupposto essenziale, senza il quale risulta difficile
poter valutare efficacemente l'effettiva lacunosità della documentazione oggi
conservata.
Nel caso colligiano si dispone di materiale a carattere deliberativo
a partire dal 1310, ma non mancano testimonianze che attestano a Colle l'esistenza
di verbalizzazioni di attività consiliari almeno a partire dal 1216
1
.
Il notaio delle Riformagioni aveva il compito di verbalizzare
l'andamento delle sedute priorali e dei consigli allargati, redigendone in un primo
momento le fasi salienti in forma di minuta in quaderni di estensione bimestrale.
Per gli anni Trenta del Trecento si è conservata una sola di queste unità, che ci
permette di fare piena luce sulle effettive modalità di redazione degli atti
deliberativi colligiani. In forma ceterata ed omettendo le formule stereotipe, il
notaio trascriveva quanto discusso durante l'assise dei Dodici, accompagnando ogni
proposta presentata dalle annotazioni a margine "obtenta per XIIcim", o "non lecta". Immediatamente dopo veniva
annotata la convocazione del Consiglio del capitano, durante la seduta del quale
venivano poi verbalizzate sinteticamente le sole proposte dei Dodici approvate in
seconda istanza
2
.
In sede di redazione
definitiva invece, fino al 1343, i notai delle Riformagioni colligiani distinsero le
registrazioni consiliari sulla base degli organi deliberanti, con la produzione di
due distinte tipologie documentarie deliberative, riflesso diretto dell'attività
rispettivamente dei collegi priorali e dei consigli allargati secondo una prassi
comune in quel periodo
3
. Nei libri stantiamentorum, provisionum et ordinamentorum ac etiam
electionum ambaxiatorum et aliorum offitialium dominorum Duodecim gubernatorum
et defensorum Comunis et Populi Terre Collis (i
Libri delle deliberazioni dei
Dodici governatori
e i
Libri di deliberazioni dei
priori
), il notaio delle Riformagioni
annotava la stesura in mundum di
quanto deliberato dai Dodici e dal 1337 dai priori. I verbali si aprivano con la
congregatio dell'ufficio priorale ("convocato officio dominorum XIIcim defensorum et gubernatorum Terre Collis in
palatio dicti Populi ad sonum campane more solito"), avvenuta di solito dietro
mandato dei priores del collegio ("ad
instantiam et mandato ser Iohannis et Bindocci dicti offitii")
4
. Seguivano poi le verbalizzazioni dei soli provvedimenti
approvati, come ad esempio le provisiones o deliberationes
propositarum, le approvazioni cioè delle proposte da presentare
in seconda istanza al vaglio del Consiglio del capitano del popolo che potevano
riguardare anche stanziamenti di spesa (gli stantiamenta expensarum), o come i decreta e le electiones ambaxiatorum et officialium ovvero quei
provvedimenti esecutivi che non necessitavano di ulteriori ratifiche
5
.
A seconda dei notai delle Riformagioni è possibile
rilevare cambiamenti nelle forme di condizionamento ed organizzazione del materiale
deliberativo. Insegna di Cambio da Poggibonsi, notaio delle Riformagioni almeno dal
1301 al 1318
6
, era solito redigere la stesura definitiva dei verbali delle sedute
dei Dodici cui assisteva in quaderni cartacei, i cosiddetti libri sive quaterni
7
, di estensione bimestrale, periodo in cui si esplicava
l'attività del collegio priorale, distinguendo al loro interno le commissiones vocum, le possibilità cioè "per un
priore o più generalmente per un membro dei collegi di votare a nome di un altro
membro oltre che a nome proprio"
8
. Allo scadere del semestre podestarile Insegna rilegava i
quaterni in un volume coperto in
pergamena, descritto nell'intitulatio
come liber
9
.
Il successore di
Insegna, il figlio Iacopo
10
, redigeva la stesura definitiva
dei verbali su libri di cadenza annuale, non più formati da quaderni fascicolati per
bimestre, ma comprendenti due semestri podestarili
11
; il nesso tra l'ufficio priorale e
la documentazione prodotta era garantita formalmente dalla ripetizione di una nuova
intitulatio in occasione
dell'ingresso del nuovo collegio ogni due mesi. Fino al 1343 l'alternanza dei due
sistemi regolerà la produzione di questa tipologia documentaria: Rottolo di ser
Guido, notaio delle Riformagioni fra il maggio 1331 e il marzo 1332, utilizzò
durante il suo ufficio libri di
cadenza bimestrale
12
. Col suo successore Vanne di Riccomanno
da Monterappoli, in carica dall'aprile 1332 fino almeno al giugno 1336, i
libri sive quaterni bimestrali
venivano ricomposti in libri
semestrali aventi l'estensione del podestariato, in quel periodo diviso da marzo ad
agosto e da settembre a febbraio
13
. A partire
dall'ufficio di Matteo di ser Guido da Prato, notaio delle Riformagioni dal novembre
1336 fino almeno al dicembre 1341 l'estensione temporale dei registri priorali si
modellò invece sul semestre capitaneale come fin dall'origine avveniva per le
delibere del Consiglio del capitano
14
. Da segnalare come fra il novembre 1336 e l'aprile 1339 i
capitani del popolo iniziavano i loro mandati semestrali rispettivamente di novembre
e di maggio, mentre dal 1340 di luglio e gennaio
15
.
Dopo aver assistito alle
sedute priorali, il notaio delle Riformagioni presenziava anche all'assise dei
Consigli del capitano, del podestà e dal 1343 a quelle del solo Consiglio generale,
redigendone i verbali nei cosiddetti libri
reformationum
16
.
Le modalità concrete di svolgimento dei Consigli sono in
larga parte ricavabili più dai verbali delle deliberazioni consiliari che non dagli
statuti, dove evidentemente si riteneva superfluo descrivere una prassi sancita più
dalle consuetudini notarili del luogo o da quelle importate da notai forestieri che
non dal dettato statutario. I verbali della seduta si aprivano in genere con la
rituale invocatio alla divinità
preceduti da una sintetica datatio che
si limitava di solito all'indicazione del giorno e del mese apposta nella prima riga
del testo
17
. I consigli
allargati si riunivano su mandato dei rettori o dei loro vicari dietro preventiva
deliberazione del collegio priorale
18
, esplicitato
nella cosiddetta congregatio, la
giustificazione legale cioè della convocazione dell'assemblea. All'interno del
formulario della congregatio trovava
posto sempre la composizione del consiglio, la compositio, nei suoi elementi legalmente necessari per
dichiarare valida la riunione assembleare
19
. La seconda parte della registrazione delle sedute conteneva la
propositio, momento in cui
l'ufficiale chiamato a presiedere il Consiglio convocato, aveva il compito di
esporre le proposte priorali o le petizioni dei privati su cui in seguito i
consiglieri sarebbero stati chiamati ad esprimere il voto
20
. Seguiva il dibattito, durante il quale uno o più consiglieri
proponevano di cambiare, emendare o accettare integralmente le proposte presentate
con i propri consilia. In questa fase
era stato stabilito il divieto assoluto di parlare in assemblea, dal momento in cui
uno dei consiglieri si fosse alzato e recato al dicitorium per discutere le proposte
21
. La fase successiva era costituita dalla contradictio, momento subito precedente le
operazioni di voto, durante il quale il banditore del Comune aveva il compito di
"contradicere" formalmente tutte le proposte presentate
22
. Le successive operazioni di
votazione si articolavano in due fasi, nella prima delle quali veniva
preliminarmente votata l'autorizzazione a procedere nonostante la contradictio del banditore
23
. Nella redazione scritta la votazione vera e propria di
ciascuna proposta era contestuale alla cosiddetta reformatio, che ne costituiva formalmente la ratifica
definitiva
24
. Ciascun consigliere riceveva una
pallocta che durante le operazioni
di voto doveva introdurre nell'urna, la pisside, che raccoglieva i voti favorevoli o in quella dei voti
contrari: la segretezza del voto era garantita dal fatto che ciascun consigliere
introduceva le mani chiuse in entrambe, senza far vedere così quella che aveva
scelto. Era severamente proibito farsi consegnare o cedere ad altri la
pallocta; qualora poi il Consiglio
fosse stato chiamato a deliberare "de facto ponderoso vel de facto alicuius
specialis persone", i consiglieri erano tenuti al momento del voto ad "aperire manus
et obstendere palam" per dimostrare di non avere più di una pallocta ciascuno
25
. Ogni delibera per
essere approvata doveva ricevere i voti di almeno due terzi dei consiglieri
26
, una volta ottenuti i quali nella parte
finale della reformatio si procedeva
alla ratifica formale del risultato del voto di approvazione che si concludeva con
la lettura pubblica di quanto verbalizzato dal notaio delle Riformagioni prima
dell'uscita del rettore dall'assise
27
.
Mentre molti dei registri
delle deliberazioni priorali e dei consigli allargati sono giunti fino ai giorni
nostri, è da registrare la notevole dispersione degli atti deliberativi relativi
all'approvazione dei partiti di spesa da parte del Consiglio del capitano del
popolo, i cosiddetti stantiamenta
expensarum. In alcuni casi, soprattutto i più antichi, le loro
approvazioni venivano annotate su appositi quaderni poi rilegati nei libri reformationum
28
, o
condizionati automamente in libri a
loro esclusivamente destinati
29
.
Un cambiamento nelle
modalità di redazione e nella struttura delle delibere consiliari colligiane si
rileva a partire dal settembre 1343. A partire da questo periodo invalse la prassi
infatti di riportare in un unico registro le deliberazioni approvate in prima
istanza dai priori ed in seconda dal Consiglio generale (
Libri delle deliberazioni dei
priori, del Consiglio generale e del Consiglio dei capitani di Parte
Guelfa
): alla congregatio del Consiglio generale e al testo delle
proposite, faceva questa volta
immediatamente seguito la congregatio
priorale (chiamata anche convocatio
priorum), cui seguiva immediatamente dopo la verbalizzazione
dell'assise del Consiglio generale, rimasta inalterata nella sua struttura. La
conseguenza più evidente fu la perdita della possibilità di confronto fra le
propositiones dei verbali dei due
consigli che aveva permesso sino a quel momento di valutare quali proposte approvate
dal collegio priorale non fossero poi state confermate dai consigli allargati. Nei
libri destinati a contenere le
deliberazioni priorali trovarono infatti sede soltanto gli atti approvati dal solo
collegio priorale
30
. Tale cambiamento avvenne in
corrispondenza, riteniamo non casuale, sia dei profondi cambiamenti che avevano
riguardato l'assetto istituzionale del Comune, sia soprattutto della nomina a
cancelliere di ser Giovanni di ser Angelo da Città di Castello. Questi dal 1337 al
1343 aveva rivestito la carica di notaio della Riformagioni del Comune di San
Gimignano
31
,
dove, almeno dai primi anni Venti del Trecento, le delibere del Consiglio generale
presentavano identica struttura
32
.
Di portata più generale e definitiva sembra essere
l'ulteriore evoluzione di questa prassi, avvenuta in coincidenza del mandato del
cancelliere ser Iacopo di ser Bertoldo da Fucecchio. A partire dal 1347 si affermò
l'uso di far precedere dal testo della congregatio priorale il verbale della delibera del Consiglio
generale, comprensivo delle proposite
33
. È interessante notare come
quest'ultimo sistema fosse stato ad esempio previsto dagli statuti di Fucecchio del
1340, alla stesura dei quali ser Iacopo aveva partecipato sotto la stretta
osservanza delle autorità fiorentine
34
. L'uso prescrittovi di premettere soltanto una sintetica notizia
della preventiva assise priorale al verbale del Consiglio generale prefigurava
esattamente la prassi definitivamente introdotta alcuni anni dopo non solo a Colle
ma anche a San Gimignano nel periodo in cui si andava definitivamente profilando la
loro soggezione a Firenze
35
. Sembra difficile alla luce di preziosi
riferimenti incrociati non poter leggere questo dato come una significativa
testimonianza del fatto che la sottomissione politica di questi centri fu
accompagnata da una loro concomitante omologazione ai modelli istituzionali e
documentari fiorentini.
Con Iacopo si affermò inoltre l'uso di non distinguere
più i registri dei verbali sulla base degli organi deliberanti, ma sulla base della
natura degli atti emanati con la redazione di un liber
reformationum, di un liber
stantiamentorum expensarum e di un liber decretorum priorum secondo un uso che nello stesso
periodo si afferma anche a San Gimignano, dopo che a San Miniato era stato previsto
fin dagli statuti del 1337
36
. La
partizione temporale di questi libri
veniva ora ad essere riferita alla durata annuale o pluriennale del mandato del
cancelliere rogante
37
.
Nello
stesso periodo si rileva la produzione e la conservazione di registri destinati a
contenere, rispettando l'iter dei lavori consiliari, sia le reformationes sia gli stantiamenta expensarum, apparentemente destinati
a sovrapporsi cronologicamente con i registri coevi: in realtà da un'attenta analisi
è possibile rilevare come tali registri fossero stati redatti durante le assenze o
le vacazioni dei cancellieri titolari dai substituti o da locum
tenentes, fra i quali possiamo segnalare Coluccio Salutati
38
. A partire invece dagli inizi del XV secolo la
redazione di un unico registro dove verbalizzare i diversi atti deliberativi si
consolidò fino a diventare un uso comune a tutti i cancellieri succedutisi a partire
dal XVI secolo, tranne che per alcuni periodi nel corso del Quattrocento, quando la
documentazione deliberativa si distinse nuovamente in libri reformationum e in libri
stantiamentorum
39
. Questi ultimi tuttavia, rispetto ai
loro omonimi trecenteschi, raccoglievano uno specchio decisamente più ampio di
tipologie deliberative che, oltre ai consueti partiti di spesa, comprendevano ad
esempio anche le approvazioni delle elezioni degli ufficiali, le loro fideiussioni e
deliberazioni, i bilanci preventivi di spesa della comunità (ovvero le
deputationes introytus), le
petizioni dei privati, decisioni in materia annonaria o relative a gabelle
comunali
40
.
4. Le modalità di conservazione dei
registri di deliberazioni
Il notaio delle Riformagioni
come tutti gli altri ufficiali sottoposti a sindacato provvedeva alla fine del suo
mandato a representare i propri libri
da sottoporre al giudizio dei sindici
Comunis, apponeva il suo signum al termine del registro, e sulla copertina, di solito il
nome, gli estremi cronologici degli atti e a volte segnature, in grado di
identificare il registro all'interno dell'archivio; a partire dagli inizi del XV
secolo nei registri di deliberazioni cominciò ad affermarsi l'abitudine di
premettere degli indici che facilitassero la ricerca degli atti
registrati.
Nonostante alcune consistenti dispersioni
41
, la particolare attenzione rivolta dalle autorità colligiane alla
conservazione delle tipologie documentarie deliberative ne ha consentito la
sopravvivenza fino ad oggi in misura davvero rara per gli archivi storici dei comuni
toscani di analoga grandezza
42
. Ad esempio già nel
1351 i libri delle deliberazioni erano stati esclusi dal novero di quelli da
accantonare in un "sopedaneo" nella Camera Comunis
43
. A partire dalla seconda
metà del XIV, in concomitanza con opere di revisione legislativa e statutaria, le
autorità colligiane si mostrarono a più riprese interessate di rendere fruibili la
grande massa di reformationes
accumulatesi nella Camera Comunis
attraverso la compilazione di indici, regesti o raccolte tematiche
44
. Ad esempio nel 1386, per cercare di ovviare
all'ignoranza di molte delle "reformationes et ordinamenta ac statuta hactenus edita
in Comuni que partim incognita et occulta ut pote per diversa dispersa librorum
volumina", si nominarono quattordici uomini incaricati di passare in rassegna tutta
la documentazione deliberativa e statutaria in possesso del Comune col compito di
"corrigere, emendare, limitare, interpretare, declarare, cassare, moderare,
reformare et alia de novo facere et statuere" in base a quanto appurato
45
. Nel novembre 1415 i priori
colligiani provvidero ad eleggere sei uomini super
reformationibus revidendis incaricati, dopo un'attenta analisi
dei libri reformationum, di regestare
le delibere ritenute più utili
46
, dopo averne ottenuto la
consegna dal camerlengo generale che li aveva in custodia
47
. Gli interventi di ordinamento e ricognizione documentaria
non dovettero essere particolarmente efficaci se nel novembre 1416 il Consiglio si
vide costretto ad affidare l'incarico a tre nuove persone, constatata la negligenza
dei sei eletti in precedenza
48
.
Nemmeno questo progetto dovette evidentemente andare a buon fine se sette anni più
tardi, nel novembre 1423, i priori ritenendo che fosse opportuno "omnes
reformationes utiles in unum librum colligere", ratificarono una proposta poi
approvata in Consiglio generale, che prevedeva il trasferimento dei libri reformationum, sotto la custodia del
cancelliere
49
.
È ipotesi fondata che
tutti i registri deliberativi, libri
reformationum, libri
stantiamentorum e libri
reformationum et stantiamentorum, venissero conservati fin dal
XIV secolo in un'unica serie in ordine cronologico, distinti in base al notaio
redattore e alla tipologia deliberativa
50
. Tale
uso, pur perdendosi poi sul finire del XV secolo l'identificazione univoca fra i
libri e i notai, si manterrà vitale nei secoli successivi, come testimoniano i due
repertori alfabetici delle deliberazioni compilati fra 1522 e 1614
51
. Per ciascuna voce vennero indicati, attraverso gli estremi
cronologici di estensione, i libri da cui erano tratte le delibere
52
. È con
ogni probabilità nel corso della ricognizione del 1522 che nell'ultima carta dei
registri deliberativi vennero segnalate le reformationes ritenute notevoli
53
.
Il primo inventario che rompe il
silenzio delle fonti colligiane sulla consistenza del materiale deliberativo
conservato è datato al periodo 1563-1565 quando fu redatto un elenco sommario di 110
libri di provvisioni prodotti dal 1296 al 1392
54
.Le
unità attualmente in nostro possesso per quel periodo sono 107
55
. Evidentemente la dispersione del
materiale deliberativo risalente al XIII secolo a quella data era già avvenuta, come
testimoniatoci da Niccolò Beltramini che nello stesso periodo annotava nella sua
Chronica:
ne' granai del publico palazzo per pioggia et polvere sono in
tutto guasti assai libri che si possono vedere ma non leggere, massime delli
stantiamenti et riformagioni innanzi al'anno 1310
56
.
Nel 1579 i registri deliberativi colligiani subirono un
consistente intervento di condizionamento, mantenuto poi fino almeno agli inizi del
XVIII secolo. In quell'occasione i 212 di "Libri di riformagioni e provisioni"
vennero infatti riuniti in diciannove filze numerate progressivamente
57
. Le unità attualmente conservate per il periodo compreso fra il
1310 e il 1579 sono 200. Il tentativo di quantificare con precisione le dispersioni
effettivamente subite, deve tuttavia tenere conto del fatto che nel 1579, e fino
agli interventi di ordinamento compiuti nel secolo scorso, furono compresi fra i
registri di deliberazioni unità attualmente afferenti ad altre serie
58
, e che inoltre i continui interventi di legatura
subiti dai libri più antichi rendono
quanto mai difficile poter verificare il loro numero effettivo
59
. Nel 1713 i libri di
"Provvisioni"
60
, furono rilegati in
voluminose filze numerate progressivamente a penna sulle coperte pergamenacee
61
. All'interno di ogni filza i registri venivano reperiti
facilmente tramite un lembo tagliato del risvolto della coperta, dove venivano
annotati gli estremi cronologici di ogni singolo registro
62
. L'ordinamento del 1806 lasciò inalterati il
condizionamento e la segnatura delle filze e dei registri della serie
"Provvisioni"
63
. Ogni unità venne descritta con maggiore
analiticità, indicando la cartulazione e una breve descrizione esteriore
64
.
Scorrendo l'inventario del 1806 il dato che più risalta agli occhi è la consistenza
delle filze rispetto all'attuale cartulazione dei registri, che farebbe ipotizzare
una massiccia dispersione di documentazione, in realtà smentita dal confronto con
gli inventari più datati
65
. Nel 1821 l'archivista del Comune, Giangastone Bertini, durante
l'ordinamento dell'archivio comunale provvide al ricondizionamento dei registri di
Provvisioni, riuniti in filze più
consistenti
66
. Nel
1841 il nuovo ordinamento, reso necessario dal versamento nell'archivio della
Cancelleria di Colle della documentazione di Poggibonsi e Monteriggioni, non intaccò
la fisionomia della serie Provvisioni,
né tantomeno il condizionamento delle singole filze che, seppure ricartellinate
mantennero la numerazione del 1821. Nel 1852 Giuseppe Maria Becattini non intervenne
sulla struttura della serie denominata ora Provvisioni
dell'antica Signoria, ma si limitò a ricartellinare i pezzi
mantenendone la numerazione precedente, constatandone tuttavia l'avanzato stato di
degrado
67
.
Nel 1896 Francesco Dini si impegnò in un lavoro analitico di
analisi, inventariazione e restauro dei singoli registri di Provvisioni; egli provvide per prima cosa a
schedare le singole filze e a distinguere gli atti contenuti in base alle
istituzioni di cui furono espressione
68
.
All'interno dell'antica serie Provvisioni egli distinse infatti sulla carta i registri fra le
"Provvisioni della Signoria del capitano e del Consiglio Generale", le "Provvisioni
e Riformagioni del capitano", le "Provvisioni del podestà" e gli "Stanziamenti"
69
, mantenendo però "sulle carte"
in molti casi l'ordine precedente. Constatato il degrado delle legature delle filze
e di molti registri, nonché l'esistenza nell'archivio di "una quantità di carte
sciolte, per età e genere svariate"
70
,
Dini procedette alla scomposizione di alcune buste e ne utilizzò i resti come
coperte per i fascicoli che ne erano totalmente sprovvisti
71
. Trovandosi poi di fronte ad una grande massa di fascicoli
slegati o perché mai stati rilegati o perché scioltisi nel corso dei secoli, cercò
di ricostituire delle unità omogenee dal punto di vista cronologico e
contenutistico, non sempre riuscendovi
72
. Una volta terminato il lavoro di
schedatura e restauro Dini riunì i primi 160 registri di deliberazioni in 19 buste e
numerò singolarmente i restanti, mantenendone la disposizione in ordine
cronologico
73
. Dopo il deposito presso
l'Archivio di Stato di Siena
74
, Alfredo Liberati,
riprendendo lo schema di ordinamento del Dini numerò a matita i 354 registri di
"Deliberazioni e partiti del Consiglio Generale" disponendoli in ordine cronologico
senza cesure periodizzanti dal 1310 al 1864
75
. Nel corso dell'ordinamento condotto
negli anni Cinquanta del secolo scorso il materiale deliberativo fu distinto in due
serie (le "Deliberazioni del Consiglio generale" e le "Deliberazioni e stanziamenti
della Signoria") in base ad un criterio totalmente arbitrario ed estraneo alle sue
tradizioni conservative.
Nel corso del presente ordinamento si è provveduto a ricomporre il
materiale deliberativo in un'unica serie, ripartita al suo interno secondo la
successione cronologica dei notai delle Riformagioni, sotto a ciascuno dei quali
sono stati riuniti in sequenza le tipologie documentarie prodotte, ripristinando
così le soluzioni conservative originarie di questi registri operate fino agli inizi
del XVI secolo. A partire da quella data infatti invalse l'uso, ben evidenziato in
sede inventariale, di redigere i verbali consiliari su di un unico registro a
prescindere dalla successione dei cancellieri. Attraverso infine l'utilizzo di
grafici e tabelle si è inteso facilitare in una prospettiva diacronica la ricerca
delle singole unità, agendo quindi sulla "carta" e non sulle "carte" nel rispetto
della sedimentazione storicamente formatasi di questi atti.
I registri delle deliberazioni, nel caso colligiano indicati
tradizionalmente come Libri delle
provvisioni, contengono la stesura definitiva, ricavata
generalmente da scritti preparatori redatti in forme sintetiche, degli atti
approvati dagli organi consiliari comunitativi impegnati nello svolgimento delle
loro attività. La molteplicità delle registrazioni in essi contenute è legata
quindi alla varietà dei compiti istituzionali assunti dai vari consigli, che
poteva variare dall'emanazione di norme di carattere generale, quali il rinnovo
o l'integrazione degli statuti comunitativi, o a quella, più frequente, di norme
particolari relative alla gestione degli affari ordinari del Comune o a
petizioni di privati.
1. Gli organi
deliberanti colligiani
a)
Il XIII secolo.
Le notizie relative all'assetto
istituzionale del Comune di Colle sono per il XIII secolo estremamente
frammentarie. La totalità delle informazioni documentabili con certezza per
questo periodo derivano, analogamente a quanto avviene per molte realtà
dell'Italia centrosettentrionale, dai Libri
iurium e dai fondi diplomatici attraverso i quali è
possibile raccogliere alcune indicazioni, che, seppur rapsodiche, contribuiscono
a tratteggiare una situazione non difforme da quella di molti Comuni
vicini.
Agli inizi del Duecento il Comune appare già strutturato con i
consoli, un podestà e un Consiglio del Comune76, nel 1225 si fa menzione del "Breve potestatis" e nel 1234
si elencano i nomi di ventotto consiglieri facenti parte il Consiglio del
Comune77.
Alla fine del Duecento le famiglie consolari,
divise negli schieramenti guelfi e ghibellini, furono affiancate nel governo del
Comune da quelle famiglie nuove impegnate in sempre più redditizie attività
manifatturiere e commerciali, destinate ad arricchire e complicare ulteriormente
la vita politica colligiana: oscilla fra il 1286 e il 1296 la prima attestazione
del capitaneus populi78, mentre nel 1287 il Consiglio del Comune presieduto dal podestà
risultava composto da Vigintiseptem
populi, cinquantotto consiglieri e Novem qui presunt expensis Comunis79.
b) Dagli inizi del Trecento all'uccisione di
Albizzo Tancredi (1331).
La situazione documentaria
cambia con gli inizi del XIV secolo, quando le notizie si infittiscono ed è
possibile operare una ricostruzione più puntuale delle vicende
politico-istituzionali colligiane.
I primi statuti pervenutici, risalenti al
1307 pur nella loro attuale incompletezza, contribuiscono a fornire un quadro
organico ed esauriente dell'assetto istituzionale di Colle80. La più alta
magistratura di governo era rappresentata dai Duodecim gubernatores et defensores Comunis Terre
Collis81, affiancata dai
Consigli del podestà e del capitano del popolo: analogamente a quanto avveniva
in altre realtà comunali toscane, la partecipazione agli organismi direttivi e
ai consigli avveniva proporzionalmente in base alla ripartizione del centro
abitato in contrade82.
Le altre due figure di maggior rappresentatività del Comune
erano quelle del capitano del popolo e del podestà, in carica entrambi per un
semestre83.
Il capitano aveva tra i suoi incarichi quello di
sindicus et iudex appellationum gravaminum et
nullitatum, di presiedere il Consiglio cui dava il nome e
soprattutto quello di "observare et executioni mandare omnes reformationes
Consilii vel Consiliorum Comunis"84.
Il Consiglio del capitano, che garantiva come vedremo
insieme ai Dodici lo svolgimento della gestione ordinaria del Comune, era
composto da trentasei elementi85.
Il Consiglio
del podestà, cui molto più raramente si faceva ricorso, nel 1307 era composto da
sessanta elementi, quindici per contrada, poi ridotti a quaranta86, ma sulle modalità della sua
elezione dobbiamo purtroppo limitarci ad ipotizzare che fossero analoghe a
quelle già considerate per il Consiglio del capitano, vista la lacunosità del
materiale statutario trecentesco87.
Il collegio dei Dodici era chiamato attraverso frequenti
riunioni nel corso del bimestre durante il quale si estendeva la carica, a
provvedere all'attività di governo del Comune; le decisioni che potevano essere
ratificate all'interno del loro collegio riguardavano essenzialmente la nomina
di ufficiali destinati ad incarichi specifici, degli ambasciatori e alla
ratifica di ordinamenti particolari. La maggior parte della loro attività
tuttavia era costituita dalla formulazione di proposte che per avere
applicazione dovevano essere in seconda istanza approvate dal Consiglio del
capitano. Secondo quanto risulta dal dettato statutario, in questo contesto, il
ruolo del Consiglio del podestà, detto anche Consiglio generale, sembrerebbe
subalterno a quello del Consiglio del capitano: il podestà poteva infatti far
radunare il suo Consiglio solo dietro mandato del capitano "quandocumque et
quotienscumque ipse voluerit"88.
L'articolazione istituzionale del Comune delineata dagli
statuti del 1307 venne ulteriormente caratterizzata in senso antimagnatizio, con
la redazione nel 1308 degli Ordinamenta
Populi come undicesimo libro degli statuti redatti l'anno
precedente: questi sancirono la creazione di una Societas pacis masse Populi Comunis de Colle, composta da
duecento popolari colligiani "a quattuordecim annis citra et septuaginta infra",
guidati da otto boni viri nominati
ogni sei mesi dai Dodici. Gli Otto, due di ciascun quartiere, provvedevano
inoltre ad eleggere ogni sei mesi quattro gonfalonerii, uno per quartiere, affiancati ciascuno da
quattro consiglieri; questa struttura aveva la funzione, essenzialmente
militare, di coadiuvare il capitano del popolo "quandocumque rumor esset in
Terra de Colle" e provvedere in sostanza alla difesa degli organismi di governo
popolari89.
L'avvento della signoria di Albizzo dei Tancredi su Colle
formalmente non incise sull'assetto istituzionale colligiano, ma di fatto il
controllo dell'arciprete sulla vita politica fu quanto mai forte e cogente90. La rivolta popolare che nel
marzo 1331 pose fine nel sangue alla signoria di Albizzo e dei suoi fratelli su
Colle fu il primo effetto di quel rapido processo che avrebbe portato di lì al
1349 alla definitiva sottomissione del centro valdelsano a Firenze.
c) Dai primi patti di custodia con Firenze alla
fine del XV secolo.
Dopo l'uccisione di Albizzo
l'influenza fiorentina su Colle cominciò progressivamente ad aumentare: nel
timore delle possibili rappresaglie degli alleati interni ed esterni dei
Tancredi, nel dicembre 1331 furono siglati i primi accordi di custodia con
validità triennale, che prevedevano tra l'altro l'obbligo di nomina di podestà e
capitano fiorentini, accordi poi rinnovati nel maggio 1333 e nel gennaio
133691. La longa manus del
potente protettore cominciò a rendersi evidente anche in campo istituzionale a
partire dal bimestre maggio-giugno 1337, quando la magistratura dei Dodici venne
riformata sul modello del supremo organo di governo fiorentino di quel periodo,
il priorato. Il tessuto urbanistico di Colle venne ripartito in terzieri,
mediante l'accorpamento delle contrade del Castrum
a Plebe infra e del Castrum a
Plebe supra92, ciascuno dei quali avrebbe contribuito proporzionalmente alla
formazione della nuova magistratura esecutiva, composta ora da sette
priores, uno dei quali
indicato come vexillifer
iustitie.
Nel febbraio 1340 l'assimilazione dell'assetto
colligiano al modello istituzionale fiorentino coinvolse anche le modalità di
elezione del priorato, arrivando a modificare il sistema elettorale per
cooptazione già descritto negli statuti del 1307, nel sistema tipicamente
fiorentino dello "scrutinio elettorale con validità pluriennale, per individuare
gli eleggibili in base a liste dei ritenuti idonei, e alla loro immissione a
cedole singole nominative in apposite borse, da cui si estraeva al momento
dell'entrata in carica delle singole magistrature"93.
Anche gli organi collegiali furono modellati sulla base
di quelli fiorentini, eletti per "tratta" e chiamati rispettivamente
Consilium Comunis quello del
podestà e Consilium Populi quello
del capitano, entrambi composti da trenta elementi94. I capitani di Parte guelfa, che molto probabilmente sulla
base degli ordinamenti del 1337, confermati poi nel 1339, erano stati ammessi
con la stessa autorità dei consiglieri nel Consiglio del capitano, ne furono
nuovamente estromessi95.
Il processo di
assimilazione delle istituzioni colligiane al modello fiorentino trovò una
battuta di arresto nella nuova redazione statutaria del 1343-1347, che pur
confermando alcune delle modifiche all'assetto istituzionale fortemente innovato
fra il 1337 e il 1340 ne escluse altre assai importanti quali quella del sistema
elettorale, nuovamente impostato su base cooptativa. Il collegio priorale fu
confermato in sette elementi, sei priori e un gonfaloniere di giustizia96. Gli organismi consiliari vennero ridotti al
Consilium generale capitaneorum Partis guelfe
et eorum Consilium, la cui composizione numerica fu oggetto
di ripetute variazioni fino all'assetto definitivo recepito dagli statuti
nell'agosto 1344 incentrata su trenta consiglieri, due capitani di Parte guelfa
e dodici loro consiglieri, eletti per cooptazione dal Consiglio uscente97.
Le turbolenze della vita politica interna e le
pulsioni ribellistiche delle famiglie magnatizie costrinsero il 7 gennaio 1344
il "reggimento colligiano" a varare una riforma98, valida
a partire dal 10 gennaio, che prevedeva la nomina da parte dei priori di
Viginti habentes generalem bayliam super
custodia Terre Collis et districtus, in carica sei mesi ed
eleggibili per cooptazione, con precise competenze ed ampi poteri sulla custodia
e la politica estera del Comune analogamente a quanto era accaduto nello stesso
periodo in altri centri limitrofi99.
La deliberazione di istituzione dei Viginti attribuiva loro piena autorità nel procedere
all'elezione del collegio priorale, dei Septem
expensarum, del Consiglio generale, dei sindaci del Comune,
del notaio di Camera e del camerlengo generale, dei gabellieri e del loro
notaio, sospendendone le norme statutarie relative alla nomina100. Il passo successivo fu la cassazione delle borse elettorali
predisposte nell'agosto 1343, ripristinando formalmente l'elezione per
cooptazione del priorato, del Consiglio generale e dei Septem expensarum, secondo anche quanto
previsto dai nuovi statuti101. A partire dal luglio 1344 i componenti della nuova magistratura
furono ridotti a quattordici102, in carica
inizialmente per un semestre poi per un solo trimestre103.
Sul piano prettamente istituzionale la definitiva
sottomissione di Colle a Firenze rappresentò l'inizio di uno stretto rapporto
dialettico rinegoziato a scadenze variabili, tramite periodiche Riforme che concorrevano a confermare o
correggere l'assetto istituzionale colligiano104. La prima
Reforma officiorum risale al
febbraio 1349: in quell'occasione i due reformatores fiorentini, Giovanni Raffacani e Giovanni
Lanfredini, sicuramente d'intesa coi ceti dirigenti colligiani, ripristinarono
per molte cariche il sistema elettorale delle borse con tratte nominative, già
sperimentato dal 1340 al 1343, salvo poi stabilire una soluzione compromissoria,
ricorrendo ad "una serie di priorati precostituiti (in questo caso per due anni)
con successiva estrazione ogni due mesi di una cedola"105.
Altrettanto
compromissoria fu la scelta operata per la formazione del Consiglio generale:
pur confermando la partecipazione dei capitani di Parte guelfa alle sue
riunioni, così come era stato ribadito con forza nel biennio 1343-1344 dagli
statutarii colligiani106, se ne portò il numero da due a tre
abolendo nel contempo il "Consilium Partis guelfe" e facendo in modo "quod sit
unum solum Consilium, in quo sint plures capitanei Partis guelfe"107. Il nuovo Consilium
generale et capitaneorum Partis guelfe era ora formato da
trentatré consiglieri e tre capitani di Parte guelfa, aventi la stessa autorità,
nominati in base al sistema a pallotte ed in carica per un semestre108.
Nell'ultimo
trentennio del XIV secolo si registrarono alcuni cambiamenti negli organismi
consiliari colligiani destinati a sopravvivere per molto tempo. Almeno dal 1371
il numero dei capitani di Parte guelfa era salito a sei elementi, chiamati con
sempre maggiore frequenza a deliberare in prima istanza insieme ai priori sulle
proposte da passare al vaglio del Consiglio generale109, la cui durata in carica
veniva modellata sulla validità delle Riforme vigenti110. Nel
1390 al priorato e ai capitani di Parte furono affiancati sette regolatores in carica per un
quadrimestre111, che furono però già
soppressi esplicitamente nel 1394112, e sostituiti agli inizi
del Quattrocento dai quattro gonfalonieri di compagnia in seguito saliti a
sei113.
Il secondo decennio del Quattrocento sembra costituire una
fase di assestamento nei rapporti fra Colle e Firenze, testimoniata da alcuni
significativi e ravvicinati cambiamenti istituzionali che troveranno tuttavia
una definitiva stabilizzazione nel corso del decennio successivo114.
d) Dal XVI secolo alla vigilia delle riforme
leopoldine.
Agli inizi del Cinquecento il quadro
dell'assetto istituzionale colligiano appare ormai definito in relazione alle
composizioni dei collegi priorali e del Consiglio generale, le coordinate dei
quali sono in questo periodo ormai riscontrabili solamente nei testi delle
periodiche Riforme. La nuova
redazione statutaria del 1513 contribuì a delineare l'organigramma comunale
nella parte dedicata ai cosiddetti ufficiali ad
brevia eletti direttamente nel Consiglio generale e a
definire le competenze in materia giudiziaria del Podestà e dei suoi ufficiali,
mentre l'organizzazione della maggior parte degli uffici comunali, in particolar
modo delle cariche cui si accedeva per tratta, era definita dalle Riforme sessenali115. Quella
del 1512 e le successive confermarono in massima parte l'assetto delineatosi nel
Quattrocento, con lievi difformità sulla composizione numerica dei vari
organismi consiliari, ma non sulle loro competenze.
Le Riforme di questo periodo riprendono nel
solco tracciato da quelle precedenti, con un assetto istituzionale ormai
caratterizzato dalla presenza di un organo di governo composto dai "tre maggiori
offitii"116, ovvero il gonfaloniere di
giustizia e i sei priori, coadiuvati da sei gonfalonieri di compagnia e sei
capitani di Parte, chiamati collegialmente ad approvare le proposte che il
Consiglio generale, composto da trenta elementi, doveva ratificare in seconda
istanza117.
Nel corso del XVII e
XVIII secolo si assiste ad una progressiva stasi della vita istituzionale
colligiana che si ripercosse anche nel sostanziale ridimensionamento qualitativo
che la redazione di Riforme e
statuti conobbe nel corso di questi due secoli che precedono le riforme
leopoldine, dopo che il processo iniziato in età cosimiana aveva gradatamente
relegato le statuizioni locali nel margine delle questione assai minute.
L'ultima Riforma estesa e completa
fu redatta nel 1651, e rimase in vigore fino al 1776, integrata da addizioni
sessennali, riguardanti però la modifica di singole norme. La Riforma in questione, preso atto della
notevole contrazione demica che il centro valdelsano aveva vissuto rispetto alla
metà del XVI secolo, in particolar modo durante la pestilenza del 1630, vide il
ridimensionamento numerico di alcuni organi collegiali: i componenti del
Consiglio generale scesero da trenta a dodici, i gonfalonieri di compagnia e i
capitani di Parte da sei a quattro118;
gli interventi successivi, consolidatesi le carenze demiche ormai croniche,
portarono nel 1735 ad esempio all'accorpamento in un'unica circoscrizione
elettorale dei terzi di Borgo e del Piano, dove abitavano ormai soltanto cinque
famiglie in grado di fornire eleggibili119.
2. Le modalità di deliberazione dei consigli
colligiani
Secondo gli statuti del 1307 i Dodici avevano
piena facoltà di radunarsi ogni volta che lo avessero ritenuto necessario per
formulare delle proposte, che, dopo essere state approvate, dovevano passare al
vaglio del Consiglio del capitano. Ogni seduta era valida in presenza di almeno
tre quarti di loro ed ogni proposta per essere ratificata doveva ottenere la
medesima maggioranza dei voti120. Le assenze alle sedute dovevano essere notificate
preventivamente al notaio delle Riformagioni che era tenuto a prenderne appunto
separatamente121.
Una volta approvate dai Dodici, le proposte di deliberazione
e di stanziamento di spesa per divenire esecutive dovevano ricevere l'ulteriore
approvazione del Consiglio del capitano del popolo, convocato dietro loro
formale richiesta ("ex deliberatione"). I consiglieri di quest'ultimo erano
tenuti a partecipare alle sedute ogni qualvolta "expedient et requisiti fuerint
per numptium vel campanam vel preconem Comunis", a non allontanarsene "sine
licentia" e a mantenere il massimo riserbo sui dibattimenti consiliari
particolarmente delicati122. Il numero legale per dichiarare valida la seduta era stato
fissato dagli statuti del 1307 in ventisette consiglieri, mentre ogni proposta
per essere approvata doveva ricevere la maggioranza dei due terzi dei voti.
Almeno nove dei Dodici avevano l'obbligo di partecipare alla seduta del
Consiglio del capitano e avevano diritto di voto, tranne nei casi in cui si
dibattesse l'approvazione di stanziamenti di spesa, destinata a seguire un
iter particolare123. Ogni proposta di
stanziamento presentata dai Dodici, prima di passare al vaglio del Consiglio del
capitano doveva essere preventivamente approvata dai Duodecim qui presunt super expensis,
magistratura in carica per un trimestre che aveva la funzione di valutare la
liceità delle proposte di spesa in base alla situazione delle finanze comunali;
una volta ricevuta l'approvazione di almeno nove di loro124, il Consiglio
del capitano provvedeva ad approvare o respingere le proposte di stanziamento
seguendo poi delle modalità analoghe a quelle seguite per gli altri
"partiti"125.
Il Consiglio del podestà svolgeva invece, quantomeno in
apparenza, un ruolo più marginale rispetto a quello del capitano del popolo
nell'attività deliberativa. Le rare convocazioni del suo consiglio sembrano
essere finalizzate negli anni Trenta del Trecento all'elezione dei cosiddetti
ufficiali ad brevia126 e alle
commissiones delle
imbreviature dei notai deceduti127, o più
in generale a tutta quella normazione relativa alle specifiche funzioni
giurisdizionali del podestà128.
I cambiamenti istituzionali occorsi a partire dal 1337
e sanciti definitivamente con la redazione statutaria del 1343-1347 sembrano
aver inciso poco, perlomeno a livello formale, nell'immediato: i sei priori e il
gonfaloniere di giustizia, che avevano sostituito quale massima autorità del
Comune colligiano i Dodici, ne avevano ereditato la funzione di formulare
proposte di deliberazione e stanziamento di spesa, che una volta approvate da
almeno cinque di loro dovevano poi passare al vaglio del Consiglio generale.
Questo, composto ora in totale da quarantaquattro elementi compresi i due
capitani di Parte guelfa e dodici loro consiglieri, doveva ratificare con la
maggioranza di due terzi dei consensi le proposte presentate dai priori, non più
di quattro per seduta, in presenza di almeno tre quarti dei consiglieri129. Le
proposte respinte dovevano essere "congelate" per un mese prima di poter essere
ridiscusse130.
I Dodici sopra le spese vennero sostituiti dai Septem expensarum aventi le stesse
competenze131. Anche secondo gli statuti del 1343-1347 i priori non
avevano diritto di voto nel Consiglio del Comune quando si discuteva
l'approvazione di spese, mentre lo conservavano in tutti gli altri
dibattimenti132.
L'avvento del predominio fiorentino su Colle e la
conseguente periodica negoziazione dei rapporti politico-istituzionali si
ripercosse sulle prassi consiliari essenzialmente sul piano della composizione
numerica dei consigli e con variazioni minime dei quorum necessari. La novità più significativa introdotta
nell'ultimo ventennio del Trecento fu che prima i capitani di Parte,
inizialmente solo "de numero consiliariorum Consilii generalis", poi i
gonfalonieri di compagnia finirono con l'affiancare i priori nell'approvare in
prima istanza le proposte da passare in seconda istanza al Consiglio generale,
completando così il trittico dei maiora
officia. A partire dal 1382 le sedute del Consiglio generale
necessitavano della presenza di due terzi degli aventi diritto per essere
dichiarate valide; per ogni congregazione non potevano essere presentate più di
sei proposte, deliberate preventivamente a maggioranza dai due terzi dei
maggiori offitii, ed infine
approvate da almeno tre quarti dei voti del Consiglio Generale133. Nel 1374 si stabilì che una singola proposta, se respinta,
non potesse essere ripresentata al vaglio del Consiglio generale più di quattro
volte, portate a sei nel 1444, eccettuando a partire dal 1456 quelle riguardanti
il Comune di Firenze; per quanto riguarda i contenuti delle proposte, ciascuna
di esse non poteva contenere più di una questione, mentre le proposte di spesa
potevano contenere più di uno stanziamento134. La
Riforma del 1474 specificò che
oltre alle sei proposte a seduta, potevano essere sottoposte al vaglio del
Consiglio anche un massimo di due petizioni "particularium personarum", che, se
respinte, non potevano essere proposte più di quattro volte135.
L'assetto consiliare colligiano rimase sostanzialmente
inalterato fino alla metà del XVII secolo, quando, constatata la forte
contrazione demica di Colle si ridussero, a partire dalla Riforma del 1651, a quattro sia i
gonfalonieri di compagnia che i capitani di Parte e i consiglieri da trenta a
dodici136; nel 1771, data "la
astrizione di molte famiglie" in grado di fornire eleggibili per le cariche
comunali, si provvide infine a ridurre il quorum per riunire legalmente il Consiglio generale, da
ventuno a diciotto elementi137.