Livello: subfondo
Estremi cronologici: 1448 - 1776Consistenza: 40 unità
Il 29 luglio 1440 furono firmati i capitoli1 tra i commissari del Comune di Firenze: Neri Capponi e Alessandro degli Alessandri, il conte Francesco e i rappresentanti degli uomini di Poppi, Fronzola e Quota: Goro Chechi e Antonio di ser Francesco, capitoli che sancivano la fine del dominio dei conti Guidi su Poppi e sul Casentino. Al conte furono concessi otto giorni per consegnare ai commissari fiorentini il castello con tutte le sue appendici, pertinenze, diritti, domini e proprietà e tutti gli altri castelli, ville e fortezze che egli di diritto o di fatto teneva e possedeva nel Casentino e nella Romagna2 e quindici per andarsene con tutta la sua famiglia, concedendogli però di avere accesso a Firenze e suo contado fino a dieci miglia dal Casentino3. Particolare benevolenza fu mostrata dai commissari verso gli uomini di Poppi che si erano schierati con il conte, ai quali non solo venne ridata la libertà, ma fu anche deliberata la restituzione di ciò che avevano dato in pegno e mallevadoria per il loro riscatto4, perché con questi capitoli, la Repubblica fiorentina non si limitava a dettare le condizioni al nemico sconfitto, ma metteva anche le basi del suo dominio sui territori, castelli e fortezze appartenuti al conte.
Alle tre comunità di Poppi, Fronzola e Quota veniva riconosciuto il diritto a fare statuti 5 (che però dovevano essere approvati dagli approvatori fiorentini) e ad eleggere un cancelliere per gli atti di ciascun comune e per l'ufficio del danno dato6, veniva inoltre concessa l'esenzione in perpetuo dalle gabelle ordinarie e straordinarie 7 ad eccezione di quelle delle porte di Firenze e delle bestie in Maremma e per 25 anni da tutte le gravezze, balzelli, prestanze con l'impegno però a pagare il salario del rettore, che Firenze avrebbe mandato in quei luoghi8. Anche i mercanti e gli artigiani dei tre comuni venivano esentati da pagare gabelle o matricole alle arti di Firenze9.
Infine tutti i patronati e i diritti di patronato del conte su chiese e cappelle dovevano passare ai comuni con l'autorità ad eleggere cappellani, operai, rettori ecc. sotto l'approvazione dei Priori delle Arti10; passavano, inoltre, alle comunità i diritti che il conte aveva sui mulini e tutti i suoi beni e proventi posti nelle tre corti11. Anche le condanne del rettore per malefizi e debiti venivano attribuite alle comunità12.
Le esenzioni dalle gabelle e dalle tasse concesse in questi capitoli, su richiesta della stessa comunità di Poppi, furono poi rinnovate nel 1463 con l'aggiunta, però, di 200 fiorini l'anno da pagare al camerlingo del Monte del Comune di Firenze13.
Il primo statuto della comunità di Poppi è del 18 aprile 1441, mentre del 21 dello stesso mese è l'elezione del primo vicario, Domenico Sapiti; iniziava quindi in quel momento la produzione della documentazione delle magistrature giudiziarie e comunitative anche se fino a noi sono pervenute serie che iniziano più tardi; non mancano, però, alcuni interessanti resti del periodo feudale, in particolare tre estimi trecenteschi di Poppi14 e numerosi pezzi del tribunale del tempo dei conti Roberto e Francesco.
La comunità di Poppi nel primo statuto15 presentava un'estensione territoriale diversa da quella che poi ebbe in seguito, perché unificava in un unico organismo i territori che per tutto il periodo successivo repubblicano e mediceo avrebbero costituito le due comunità di Poppi dentro e di Poppi fuori. L'esistenza di due nuclei territoriali era però visibile anche all'interno di questo primo statuto nella divisione tra "castro" e "università" o "curia"; infatti gli otto riformatori erano quattro per il castello e quattro per le ville di fuori, a loro volta divisi tra quelli citra Arnum e quelli ultra Arnum, divisione presente anche nella magistratura comunale e nel consiglio.
Dai pezzi che si hanno del periodo comitale della comunità di Poppi e cioè i tre estimi, due del 1330 e uno del 1384, non è possibile capire se la comunità allora fosse unica, oppure già divisa, infatti i primi comprendono il territorio del castro e della curia, mentre quello del 1384 solo il territorio di Poppi dentro.
Questo primo statuto è composto di quattro libri e si presenta come un testo ampio e articolato, che comprende oltre alla parte riguardante le magistrature e gli uffici comunitativi16 la legislazione civile e criminale e quella sul danno dato17.
Il governo della comunità di Poppi era affidato a una magistratura che nella sua denominazione ricalcava il modello fiorentino, infatti la carica più importante era quella di gonfaloniere, definito di Parte guelfa, rappresentante della comunità di cui teneva il sigillo, affiancato da un collegio di sette priori, così divisi: quattro uomini del castello di Poppi (compreso il gonfaloniere) e quattro delle ville fuori, due per quelle "oltrarno" e due per quelle "di qua d'Arno"18, e da un consiglio formato da dodici consiglieri19, estratti dalle borse20 apposite.
I requisiti per accedere a tali uffici erano molto generici, bisognava essere "terrazzani" o abitanti da almeno quindici anni nel comune di Poppi e pagarvi le tasse, non era permessa però la partecipazione alle cariche pubbliche ai membri di una stessa famiglia, fino al quarto grado di parentela21, divieto che sarà puntualmente ribadito in ogni statuto. Tutti insieme questi venti uomini avevano "baliam autoritatem et potestatem quam habet totius Comunis Puppii"22. Essi potevano imporre tasse e prestanze, secondo le necessità, ma tali imposizioni dovevano essere approvate dagli approvatori fiorentini23, cioè i Cinque conservatori del contado, magistratura istituita nel 1420 dal governo fiorentino per il controllo finanziario del contado e dal 1429 anche del distretto 24.
In questo primo statuto emerge con chiarezza la posizione dominante del "castro" di Poppi sui piccoli comunelli rurali della "curia": le cariche più importanti, come gonfaloniere, grasceri e camerlingo ecc., erano espressamente riservate solo agli abitanti del castro, mentre le spese che comportavano benefici effettivamente solo per il castello venivano fatte pagare anche agli uomini delle ville, come il maestro di scuola o il responsabile dell'orologio25.
D'altra parte se si guarda alla composizione sociale degli statutari nell'elenco riportato alla fine dello statuto26 si vede una netta prevalenza sociale degli uomini del "castro", rispetto a quelli della "curia": infatti questi ultimi sono tutti denominati coloni, mentre quelli di Poppi dentro sono connotati dal titolo di "ser".
Questa situazione territoriale e statutaria durò, però, pochi anni, nel 1448, il territorio venne diviso in due comunità completamente autonome l'una dall'altra, denominate "Poppi dentro", quella corrispondente al castrum e "Poppi fuori", quella che nello statuto del 1441 era chiamata "università", ognuna con propri statuti e proprie magistrature27. Questa divisione rispondeva ad una politica generale di Firenze, che tendeva a separare i contadi dalle città o comunità più grandi a cui erano subordinati, per togliere potere alle classi dominanti di queste: "Sul piano istituzionale, in ogni stato territoriale a struttura cittadina agiscono su questo versante due tendenze di segno opposto: l'una "modernizzante", che tende a minare il rilievo della città olim liberae affrancando i loro antichi contadi dalla subordinazione verso di esse; l'altra "conservatrice", ispirata alla preoccupazione di non mortificare all'eccesso quelle classi dirigenti locali sul cui consenso (o almeno non dissenso) si regge tutta l'impalcatura dell'ordinamento regionale" 28. Anche nel caso di Poppi emerge questa politica oscillante del governo fiorentino che, trovatosi di fronte all'opposizione delle due comunità, che mandarono ambasciatori per chiedere la riunificazione "per loro vantaggio conservazione et salvezza", nel 1451 diede ordine al vicario di attuare questa riunificazione 29. Il vicario elesse allora dodici riformatori30 (sei per Poppi dentro e sei per Poppi fuori), che elaborarono una riforma approvata dal consiglio il 9 di maggio dello stesso anno.
Ma neppure un anno dopo, nella riforma della podesteria del 1 marzo 1452 31, la comunità di Poppi fuori, che fino ad allora non compariva come autonoma, ebbe un proprio rappresentante separato da quelli di Poppi dentro con un ruolo nel governo delle podesterie uguale agli altri comuni minori come Fronzola o Ragginopoli e pochi anni dopo, nel 1459, le due comunità furono nuovamente divise e questa volta in maniera definitiva. Nella riforma del 145132 la magistratura di governo tornava ad essere unica, formata da nove membri: quattro priori più il gonfaloniere33 per Poppi dentro e quattro priori per Poppi fuori, affiancata da un consiglio formato da sei consiglieri34. Come nello statuto del 1441 si avverte molto netta la volontà di supremazia del castro di Poppi sulle piccole comunità di fuori e infatti le cariche più importanti come quella del gonfaloniere, del camerlingo e dei "grascieri" erano ancora riservate esclusivamente agli uomini di Poppi dentro.
Inoltre veniva imposta anche alle comunità di fuori la spesa non indifferente della riparazione delle mura, con la creazione di un ufficio ad hoc composto da ben cinque "officiali delle mura": tre per Poppi dentro e due per i comunelli di fuori e un camerlingo35 al quale dovevano affluire i proventi dell'affitto del mulino del comune, a cui erano tenuti a recarsi a macinare tutti gli abitanti non solo di Poppi dentro, ma anche quelli di Poppi fuori36.
Ma i Cinque conservatori, a differenza del 1441, intervennero a limitare questa supremazia degli uomini di Poppi dentro e non approvarono il capitolo che riservava loro la carica del gonfaloniere e deliberarono per le spese delle mura che l'obbligo di andare al mulino della comunità di dentro durasse solo fino "a tanto che le mura del castello di Poppi si porranno a fare, ma poi finite le dette mura a ciascheduno sia licito potere andare dove a lui parrà" 37.
Nel 1459 le due Comunità, come si è già anticipato, furono nuovamente divise, come ci attesta uno statuto del comune di Poppi fuori di quell'anno38.
Dal 1466 ebbe inizio anche la produzione statutaria di Poppi dentro, che fu molto intensa e vivace fino ai primi decenni del XVI sec., con riforme che di cinque anni in cinque anni determinavano, come vedremo, cambiamenti anche significativi nelle strutture del governo locale 39, che rivelano una realtà sociale e politica con forti dinamiche al proprio interno e la presenza di una élite cittadina che fino alla fine del XVI secolo cercò di conquistarsi spazi di autonomia rispetto al potere centrale. Nella seconda metà del Cinquecento queste irrequietezze e vivacità istituzionali in parte si attenuarono in una raggiunta stabilità socio-politica, che sul piano legislativo si orientò verso il riordino e la riscrittura degli statuti stessi, come testimonia lo statuto del 1573, scritto in latino 40, che codificò in maniera definitiva la situazione amministrativa e giudiziaria per tutta la podesteria, in sintonia con l'evoluzione statutaria delle comunità cittadine del Granducato41. La riforma di Poppi dentro del 1594 mostra, però, che la classe dirigente poppese alla fine del Cinquecento era ancora molto attiva e impegnata non solo ad affermarsi all'interno della comunità, ma anche rispetto agli organi del potere centrale.
Come si è detto la produzione statutaria di Poppi dentro, a noi pervenuta, inizia nel 1466 e precisamente nel mese di dicembre con due diverse riforme42 fatte quasi negli stessi giorni, ma da riformatori diversi. In una, di cui ci sono rimaste solo due carte, del giorno 13 dicembre, si deliberava l'elezione di quattro sindaci, eletti dagli uomini di Poppi, uno per casa, dotati di ampi poteri e non sottoposti al controllo della magistratura dei Cinque del contado, ma a quella dei Conservatori delle leggi; nell'altra, senza data, i riformatori riproponevano, invece, la magistratura comunitativa del gonfaloniere e dei priori affiancata da un consiglio. Anche se il testo del 13 dicembre è molto parziale, appare ugualmente chiaro quanto queste due riforme fossero in contrasto tra loro e quale scontro fosse in atto, in quel momento, all'interno della società poppese per il controllo del governo della comunità; ma gli approvatori fiorentini il 26 dicembre intervennero in maniera decisa, cassando tutta la riforma del 13, che presentava caratteristiche assembleari e fortemente autonomistiche e approvando, invece, quella senza data, che rimaneva nel solco degli statuti precedenti. Infatti questa riproponeva la magistratura comunitativa del gonfaloniere e dei priori, ma con delle variazioni significative nel numero dei componenti e nei requisiti per accedervi, che denotano una chiara scelta politica dei riformatori, perché riducevano drasticamente il numero degli uomini nelle magistrature, in particolare nel consiglio che veniva ridotto a soli due membri, rispetto ai dodici del primo statuto e ai dieci di quello del 1448, limitando complessivamente a soli sette uomini43 la rappresentanza di tutta la comunità: il gonfaloniere, due priori scelti, due priori generali e due consiglieri e contemporaneamente restringevano le maglie dei requisiti richiesti per accedervi.
Per essere imborsati nelle borse da cui si estraevano i nomi per i vari uffici già lo statuto del 1441 richiedeva, anche se in maniera generica, l'abitare nel comune e pagarvi le tasse come requisiti fondamentali. Ma la riforma del 1466, abbandonando tale genericità, arrivò a fissare in venticinque anni, cioè da quando Poppi era passata sotto Firenze, il termine richiesto, non di residenza, ma addirittura di pagamento dell'estimo, tale requisito avrebbe avuto come conseguenza di elevare ad un'età molto avanzata l'accesso alle cariche, se avesse riguardato solo il singolo individuo, ma che trovava la sua ragion d'essere nel coinvolgimento della famiglia: "ne et possa esser imborsato (...) chi non ha pagato estimo o gravezze in Poppi venticinque anni lui o suo padre o avolo o zio paterno (...) ne possa esser imborsato chi non ha soldi quattro d'estimo sodo sopra beni immobili oltre la testa" 44. Era una decisa sterzata in senso restrittivo e aristocratico rispetto al primo statuto, che eliminava molte famiglie di artigiani, commercianti o proprietari terrieri, limitando, praticamente, gli aventi diritto alle cariche pubbliche ai soli membri delle antiche famiglie dei possidenti.
Era un tentativo di chiusura dell'élite della nuova comunità, portato avanti da riformatori che appartenevano alle più importanti famiglie poppesi, come i Rilli, i Cascesi, i Lapini e i Chimenti45 in risposta, forse, alla sconfitta subita con la perdita del contado, dopo la formazione della comunità di Poppi fuori.
Già, però, nella riforma successiva del 147146 questa politica di chiusura sembra essere messa in discussione, perché si assiste a un sensibile aumento dei rappresentanti della comunità, infatti non solo il numero dei consiglieri veniva portato da due a cinque (tre consiglieri scelti e due generali), ma soprattutto veniva creato un nuovo consiglio, quello degli "aggiunti" formato da dieci uomini47, che dovevano intervenire per gli stanziamenti straordinari. Infatti il gonfaloniere, priori e consiglieri potevano approvare da soli solo le spese ordinarie, che erano minutamente elencate nello stesso statuto e che erano poi le spese fisse dell'amministrazione come i salari, le spese per il Monte, per il palio di San Giovanni da mandare a Firenze e quelle per le feste dei santi e del patrono 48, ma le spese straordinarie come le ambascerie o spese non previste potevano essere approvate solo con la presenza degli "aggiunti": "e quali aggiunti detti priori e consiglieri possino fare ordinare e stanziare eleggere deputare e provvedere qualunque cosa e spesa extraordinaria infino in ogni somma e qualunque elezione in qualunque salario et tutto quanto può tutto il comune di Poppi"49. Anche gli aggiunti dovevano essere tratti da una borsa apposita50.
In realtà l'autonomia deliberativa di queste magistrature locali era ben bilanciata da una procedura di controllo precedente all'approvazione dei partiti da parte dei consigli, infatti il "proposto"51, che era tratto da un "bossolo" in cui erano messi i nomi dei priori e che durava in carica otto giorni, aveva il compito di proporre "tutto quello che vederà che sia utile et bene del comune e necessario provvedere, e tale proposto metta a partito tra i priori soli e che (...) il cancelliere li notifichi al sig. vicario e ottenuto da lui la licenza si mettano poi a partito tra priori e consiglieri, con questo che prima per uno de' consiglieri si consigli in sulla solita ringhiera e non altrove"52. Con questa procedura abbastanza complessa per proporre e approvare le deliberazione del magistrato e consiglio, che rimase anche negli statuti successivi fino al Cinquecento, la magistratura comunitativa veniva di fatto subordinata al vicario, rappresentante in periferia del potere centrale.
Interessante in questo statuto è anche un'annotazione marginale di costume che potrebbe mostrare il timore dei riformatori per l'allargamento della rappresentanza sociale che queste riforme potevano comportare, "Nessun gonfaloniere, priore, consigliere o aggiunto ardisca (...) entrare in detta audienza per rendere partito alcuno con pannatura o grembiule dinanzi o da lato come e detto"53. Erano chiaramente artigiani e bottegai gli uomini, che per la fretta o l'abitudine, ai rintocchi della campana che li convocava, potevano uscire dalle loro botteghe senza neppure togliersi il grembiule, tirandolo semmai su da una parte, comportamento che non veniva ritenuto adeguato dai riformatori, che in varie riforme tornano a insistere su questa esigenza di decoro e sull'osservanza delle procedure54.
Nel 149255 si ebbe nuovamente una riduzione nel numero degli uomini dei consigli, infatti i consiglieri furono portati da cinque a quattro e gli aggiunti da dieci a quattro per un totale di tredici uomini, insieme ai quattro priori e gonfaloniere.
Ma l'allargamento della base per l'elezione nelle magistrature comunali riprese nelle riforme successive: in quella del 1497 56 venne abbassato da soldi quattro a uno d'estimo il limite fiscale per poter accedere alle cariche, mentre in quella del 150157 non veniva più fatta menzione dei venticinque anni di pagamento dell'estimo nel comune di Poppi, pur rimanendo la validità del legame familiare: "dichiarando che l'estimo del padre giovi in fare gioco al figliolo e al nipote et l'estimo del fratello non essendo divisi giovi all'altro fratello e al nipote"58.
Inoltre nello statuto del 150759, si dava la possibilità di poter esercitare gli uffici anche a chi non aveva l'estimo adeguato, se nel termine di tre giorni della tratta "si sarà fatto porre fino a soldi uno, denari quattro di gravezza, la quale si chiami gravezza d'estimo vivo et morto con l'obbligazione di pagarla non per quella volta sola, ma di continuo per sempre fino a tanto che l'estimo suo vivo sia a sufficienza"60.
Infatti il momento di maggior rappresentatività e di ampliamento sociale delle magistrature comunitative si ebbe proprio con le riforme dei primi anni del Cinquecento, così in quella del 150161 venne creato un nuovo consiglio definito poi generale che si formava con una procedura molto semplice, i tredici eletti per tratta: il gonfaloniere, i priori, i consiglieri, gli aggiunti riuniti alla presenza del vicario chiamavano altri dieci62, portati poi a tredici in quella del 150763, "e quali così chiamati s'intendino e siano vinti senza altra solennità di partito per quella volta a quelli effetti noti saranno stati chiamati"64. Il consiglio di ventitre membri del 1501 aveva soprattutto il delicato compito di nominare quattro riformatori per fare le riforme e di procedere allo squittinio e all'imborsazione per le nuove borse per le magistrature del comune che avevano valore per cinque anni; mentre quello di ventisei uomini istituito dalla riforma del 1507 aveva compiti più ampi.
Lo statuto del 151765, dopo aver ridotto da tredici a dodici il numero del gonfaloniere, priori, consiglieri e aggiunti66, specificava i casi in cui dovevano essere chiamati i dodici uomini per formare il consiglio generale. Questi dovevano essere nominati volta per volta per eleggere il camerlingo, il maestro di scuola, il cancelliere, l'ufficiale del danno dato e per allogare il mulino e altre entrate67.
Questo ampliamento di uomini nelle magistrature cittadine "rifletteva l'incremento numerico e lo sviluppo socio-economico di un gruppo emergente di artigiani, negozianti, notai e piccoli proprietari terrieri, che volevano più rappresentanza e coinvolgimento politico diretto nell'amministrazione del governo locale"68.
Forse su questo allargamento della partecipazione al governo della comunità potrebbero aver influito anche le vicende politiche di Firenze, dove dal 1494, dopo la cacciata di Piero de' Medici, si era formato un "governo largo", che si protrasse fino al 1512.
Certo non è da pensare a meccanismi automatici, ma credo che non sia neppure totalmente da escludere una certa influenza, dovuta alla forza di modello del governo centrale, che si veniva ad innestare su una situazione economica e sociale favorevole ad un tale processo, come era quella di Poppi agli inizi del Cinquecento.
Nello statuto del 152269 i dodici, invece di essere chiamati, dovevano essere tratti da una borsa nuova detta del "consiglio generale", ogni volta che ce n'era bisogno: "Vogliamo si facci et sia una borsa che si chiami borsa del consiglio generale la quale borsa abbi a stare nel cassone (...) E dove prima si chiamavano dodici homini se ne tragghi di detta borsa dodici volte per volta, quando piacerà al gonfaloniere et proposto" 70.
Interessante in questo statuto è il tentativo dei riformatori di dare al consiglio generale con la presenza del vicario la piena autonomia deliberativa, sottraendola al controllo centrale, infatti deliberarono che "abbino et avere debbino tanta autorità potestà et balia quanto al comune e popolo et cortine di Poppi et per loro partito vinto per le sedici fave abbi tanta forza et abbisi ad osservare si et totalmente come se fussi riforma, legge o capitolo approvato da nostri Magnifici (Cinque conservatori)" e non solo "et mai per nessun tempo a detto partito delle sedici fave vinto massime delle cose et governo della terra et cortine nostre si possa opponere o contro a detto partito dire cosa alcuna, ma questo sempre si debba osservare"71. I Cinque conservatori, sempre ben attenti a difendere la loro autorità, non approvarono questa parte, riaffermando i soliti poteri del consiglio e addirittura nella riforma successiva del 152772 "punirono" gli uomini di Poppi, sottoponendo tutte le deliberazioni del consiglio generale passato da ventiquattro a ventuno73 membri alla loro approvazione per aver validità74.
Nel 153375 i magistrati fiorentini tornarono, però, sul problema dell'autorità del consiglio e constatate le difficoltà a sottoporre ogni deliberazione alla magistratura fiorentina, stabilirono che fosse il vicario ad approvarle, lasciando a se stessi solo il controllo sulle riforme e statuti.
Del passaggio dalla Repubblica al Principato mediceo avvenuto nel 1530 non ci sono segni significativi di cambiamento in questa realtà periferica, rimasero inalterati per il momento i rapporti tra centro e periferia, solo qualche decennio più tardi con le riforme del cancelliere e dei Cinque conservatori del dominio vi saranno dei cambiamenti significativi76.
Quello che emerge con una certa chiarezza dalle riforme dopo l'avvento del Principato è la graduale diminuzione del numero di uomini nelle cariche pubbliche, dovuta, in parte, al decremento della popolazione, causato dalle epidemie degli anni venti e trenta, ma anche dalla volontà politica della élite, che attraverso questa diminuzione restringeva il potere a un numero sempre più limitato di famiglie. Infatti già nello statuto del 1544 77 il numero degli uomini nei vari consigli venne sensibilmente ridotto; il consiglio ordinario venne portato da nove a sette membri: il gonfaloniere, quattro priori scelti e due priori generali, a questi sette fissi se ne aggiungevano altri sette, invece di dodici, estratti dalle borse dei priori e gonfalonieri e questi quattordici formavano il consiglio generale per l'approvazione delle cose straordinarie 78. Si era quasi a metà degli uomini della riforma del 1507. Nel 155679 sempre per "carestia di homini atti a governare" si deliberò che vi fosse un'unica borsa per gonfaloniere e priori e si unificarono quelle degli uffici degli arbitri soprastanti con quelle dei viai80.
Nel 156881 si decise di ampliare i requisiti per l'elezione alle cariche rendendole accessibili ai dottori anche se senza estimo:
"Item atteso che allhora sono bene rette e governate le comunità e le terre quando nelli uffizi di quella riseggono persone da bene e d'ingegno e di governo e perché comunemente e letterati hanno occasione di essere di questa sorte, imperò per dare animo a ciascuno di attendere alle lettere ci par che esegua buono e onorevole reggimento nella nostra comunità vogliamo e deliberiamo che cominciando dallo eccellentissimo ms. Vincenzo Amerighi dottore (...) che oggi risiede nostro gonfaloniere (...) Che ciascuna persona di detta comunità che perverrà al grado del dottorato sia habile e possa risiedere in qualsiasi ufficio del detto comune etiam gonfaloniere, se bene non avessi estimo alcuno o non avessi in quella quantità che si ricerca e si ricercherà"82.
Scelta che potrebbe significare un allargamento sociale, sotto la spinta della situazione demografica, oppure come propone Giovanna Benadusi una strada per facilitare l'ingresso nelle cariche comunali ai giovani delle famiglie egemoni83.
Ma fu con la riforma del 159484 che questa élite cercò di prendere il completo controllo "politico" locale e si propose come "nuovo patriziato cittadino"85 attraverso due importanti innovazioni: la prima, che riguardava l'elezione dei riformatori, cioè di coloro che venivano eletti per fare le riforme agli statuti e per fare gli squittini e le tratte quindi, in pratica, quelli che decidevano le regole della comunità e che sceglievano gli uomini per attuarle, la seconda, che coinvolgeva le stesse magistrature rappresentative.
Nella riforma del 1501, di cui abbiamo già parlato come uno dei momenti di più ampia partecipazione al governo cittadino, il consiglio generale, che in quel momento era formato da 23 persone, come rappresentante di tutta la comunità, non solo eleggeva i riformatori, ma procedeva direttamente allo squittinio e all'imborsazione "e tutti quelli che loro vederanno o troveranno aver vinto con le tredici fave nere a ciascheduno di detti uffici sia e debba essere imborsato da loro per poliza su cui scritto il nome suo" 86. Neppure un secolo dopo questi delicati compiti li vediamo affidati, invece, non più al consiglio anche se ormai ridotto a soli sedici uomini, e neppure al magistrato del gonfaloniere e dei priori, ma solamente al gonfaloniere, al proposto e al primo priore, i soli ritenuti idonei ad eleggere i riformatori, così gli eletti e gli elettori sono all'interno di un nucleo sempre più ristretto di famiglie.
A questo si aggiunge la seconda importante innovazione per cui "il gonfalonierato e il priorato si configurano come cariche nobilitanti per chi le ricopriva e per i loro discendenti "87, infatti il gonfaloniere "Abbia inoltre titolo durante l'officio suo di molto Magnifico Nobile et Onorando la qual Nobiltà vaglia a lui e suoi posteri e farli reputare e tenere Nobili nella Patria e fuora per il tempo avvenire e quantunque non avessero per il passato goduto il titolo" 88.
Così ai priori "ovvero Anziani per esser membra più nobili e principali del corpo mistico della Repubblica" 89 veniva riconosciuto il titolo di "Magnifici et Onorandi" e soprattutto il diritto di essere ammessi al gonfalonierato per loro e per i loro discendenti e quindi anche ai priori si dava l'accesso alla nobiltà. Mentre ai membri del consiglio formato da quattro consiglieri e quattro aggiunti veniva riconosciuto il titolo di magnifici 90, ma nessun diritto al priorato e tantomeno alla carica di gonfaloniere.
Con questa riforma l'élite poppese cercava di trasformarsi da oligarchia in nobiltà attraverso le cariche pubbliche, processo questo che si manifesta in maniera più o meno esplicita in tutte le comunità piccole e grandi della Toscana.
Un altro spunto di riflessione per capire la volontà politica che animava questa riforma si trova nel capitolo CXVIII che tratta dell'elezione del cancelliere, questi in realtà ormai da quasi venti anni non era più eletto dalle comunità, ma era divenuto di nomina centrale e diretta emanazione del magistrato dei Nove conservatori. Richiamando a sé l'elezione di questo ufficiale sembra che ancora una volta gli uomini di Poppi tentassero di sottrarsi o almeno di limitare il controllo del potere centrale.
Questa riforma, però, non incontrò il favore dei Nove che ancora nel 1613 chiedevano modifiche e che sembra non arrivassero mai ad una sua definitiva approvazione, come mostrano i registri delle deliberazioni, dove non si trovano cambiamenti fino al 1633, quando sotto l'incalzare della peste si arrivò ad una drastica riduzione della rappresentanza comunitativa fissata dalla riforma del 1544: "Et attesa la gran mancanza di popolo nella suddetta terra di Poppi morti di mal di contagio, onde ci son restati pochissimi soggetti atti al governo di detta terra e sue comunità, né potendosi per tal mancanza perfezionare al tempo delle tratte il numero dei priori, consiglio e officiali (...) come per esperienza si è visto nelle tratte ultime (...) Deliberarono (...) per il presente statuto di scemare il numero di detti priori e consiglio"91. La riforma del 1633 portò, infatti, il numero complessivo dei rappresentanti a nove invece di quattordici: rimasero il gonfaloniere e i quattro priori scelti, vennero eliminati i due priori generali, mentre il consiglio generale per l'approvazione delle cose straordinarie fu portato da quattordici a nove con la diminuzione del numero degli aggiunti da sette a quattro.
Da questo momento in poi non si ebbero più significativi cambiamenti nella struttura comunitativa92; della grande vivacità deliberativa del Quattrocento e dei primi decenni del Cinquecento, quando le riforme si erano susseguite con frequenza quinquennale, nel Seicento non restava più alcuna traccia, ormai quelle che andavano sotto il nome di riforme spesso non erano altro che deliberazioni riguardanti i beni comuni o problematiche da piccola comunità rurale.
La crisi demografica fu l'occasione, dunque, per l'élite poppese per una drastica riduzione degli uomini nelle cariche e quindi per un'ulteriore chiusura sociale, come mostra anche l'analisi delle frequenze della detenzione degli uffici pubblici fatta da Giovanna Benadusi93: nel periodo tra la metà del Quattrocento e la metà del Cinquecento, 47 famiglie avevano occupato 591 delle 700 nomine alle cariche principali: gonfaloniere, priore scelto e priore generale, 20 delle quali arrivarono a ricoprire l'84% di tutte le nomine; negli anni tra il 1633 e il 1715 erano 29 le famiglie che controllavano le magistrature, tra cui 5 arrivarono a ricoprire, da sole, metà del numero delle cariche e 13 a controllare l'81,8 % del totale.
L'esiguità del numero degli uomini nelle magistrature rappresentative della comunità favorì questa chiusura oligarchica e fece sì che esse divenissero appannaggio di una cerchia sempre più ristretta di famiglie, con divieti e preclusioni che non comparivano scritti in alcun statuto o riforma, ma che erano dettati dalla consuetudine, per cui, nella seconda metà del Seicento, alle cariche di gonfaloniere o priore scelto potevano essere eletti solo membri di famiglie nobili e di quelle nuove, solo se imparentate con le antiche, mentre tra tutte le arti solo quella degli speziali era tollerata per il grado di gonfaloniere94. Giovanna Cappellotto nel suo studio sulle famiglie di Poppi95 vede un cambiamento tra le élites della seconda metà del Seicento e quelle del secolo successivo: "Circa un secolo dopo, però gli eredi di queste famiglie sentono il bisogno di tracciare dei confini ben precisi fra sé e le altre famiglie della comunità, ciò è sicuramente legato a una minaccia: coloro che sono ancora esterni, in qualche caso anche fisicamente, al Ponte, ad esempio, potrebbero candidarsi alla successione. Il passato, l'antichità della famiglia vengono riletti con un interesse specificatamente rivolto alla situazione presente, a un problema che sta ora particolarmente a cuore. L'immagine che così si produce risente inevitabilmente di questi mutamenti: se alla metà del Seicento quella di Poppi si presenta come un'élite composita, che presenta forti legami con il resto del Granducato, alla metà del Settecento essa ci appare più rigida, bisognosa di delimitare e proteggere i propri privilegi"96 In questa chiave si possono allora leggere le poche riforme settecentesche che ci mostrano un'aristocrazia cittadina molto attenta alla salvaguardia del decoro e delle gerarchie, così nella riforma del 172097 si prescriveva che il gonfaloniere "per il decoro della terra" la domenica e tutti i giorni di festa dovesse vestire di nero "col ferraiolo e col collare di città, siccome pure tanto detto signor gonfaloniere che i signori priori nell'assistere alle prediche in tempo di quaresima e dell'Avvento devino vestire nello stesso modo"98, così la riforma del 174099 tra le altre cose imponeva al vicario di partecipare alle cerimonie vestito da città, se no gli ufficiali non sarebbero andati a riceverlo 100, mentre la riforma del 1735101 dava ampio spazio al problema delle precedenze nelle cerimonie pubbliche tra i vari eletti della comunità.
Guardiamo ora quali erano i compiti di questi consigli, che, sebbene, come abbiamo visto, variassero abbastanza nella loro composizione, mantennero inalterati nel tempo i loro compiti e le loro funzioni.
Nel primo statuto si diceva che essi potevano imporre tasse e prestazioni secondo le necessità del comune, da sottoporre, però, all'approvazione degli approvatori fiorentini, cioè i Cinque conservatori del dominio, e dovevano eleggere il cancelliere, il camerlingo, gli ambasciatori, i ragionieri, gli ufficiali dell'estimo, i campai, il governatore dell'orologio e il maestro di scuola.
Compito essenziale dei priori e consiglieri con o senza gli aggiunti era quindi quello di amministrare la comunità, deliberando e controllando le entrate e le uscite; per comprendere i meccanismi finanziari bisogna però tener presente che questi si basavano su un sistema che partiva dalle spese per determinare le entrate e non viceversa, per cui il consiglio in base alle spese in gran parte fisse o "ordinarie" come venivano definite dagli statuti stessi, all'inizio del suo mandato metteva un'imposta sopra l'estimo "come cosa ordinaria (...) gravante alla lira e soldo nel modo et come per lo passato se usato di fare sopra l'estimo pagatolo proprio sopra le possessioni et beni che sono nel comune, corte et iurisdizione di Poppi (...) et in sul libro della lira"102. Con lo statuto del 1471, come abbiamo visto, fu fatta una distinzione tra spese ordinarie, ben elencate103 e spese straordinarie, le prime erano sottoposte solo al consiglio ordinario, mentre le seconde dovevano vedere la partecipazione anche degli aggiunti. Nella riforma del 1497104 si faceva un ulteriore distinguo nelle spese straordinarie, che erano tali fino ad un certo punto, in quanto dovevano essere "usitate", cioè spese straordinarie che in realtà si ripetevano di anno in anno come le spese per gli ambasciatori.
Oltre l'imposta sulle "possessioni" vi era anche la "gravezza" sulle "teste" che doveva essere pagata da tutti i maschi di età compresa tra i diciassette e i sessantacinque anni di età che non avevano "extimo pagante", e che abitavano da più di trenta anni a Poppi105, mentre coloro che abitavano nel comune da meno anni dovevano pagare una tassa come forestieri che ammontava a soldi dieci ogni sei mesi 106.
Sempre al consiglio dei priori e consiglieri spettava il compito di gestire le altre entrate comunitarie che consistevano nelle gabelle del vino, de' macelli, del sale e negli introiti del mulino.
Nello statuto del 1466107 dietro precise indicazioni dei Cinque conservatori del dominio si stabiliva che dette gabelle dovevano essere messe all'incanto e si indicavano le procedure che si doveva seguire: un mese prima di Pasqua i priori e consiglieri dovevano eleggere tre uomini, i quali in giorni e in modi prestabiliti dovevano "bacchettare" tali gabelle. I "bacchettatori" da tre passarono poi a due, ma rimase inalterato il sistema dell'incanto che per la comunità era il più redditizio.
All'incanto era messo anche il mulino, che costituiva uno degli introiti più importanti. Quando le entrate non erano sufficienti si ricorreva ai "presti", cioè a tasse aggiuntive che venivano richieste a chi pagava l'estimo e che variavano di volta in volta secondo le necessità. Lo statuto del 1527108 ordinava a tal proposito che, in caso di necessità, il consiglio ordinario dovesse chiedere una "presta", che doveva poi essere approvata dal consiglio generale.
Per quanto riguarda le uscite esse erano costituite in prevalenza da spese ordinarie, composte dal salario del vicario, dalle tasse dovute a Firenze, dai salari dei magistrati e ufficiali del comune, dagli stanziamenti per le elemosine e per le feste della comunità109.
Per comprendere le tasse che Poppi doveva a Firenze bisogna rifarsi ai capitoli di sottomissione del 1440, qui infatti dai X di Balia era stata concessa alla comunità di Poppi l'esenzione da tutte le gravezze e prestanze per venticinque anni, con l'obbligo però di provvedere al salario del vicario110. Era concessa anche l'esenzione dalle gabelle ordinarie e straordinarie, salvo quelle delle porte di Firenze e quelle delle bestie da portare in Maremma111, infine i mercanti e gli artigiani erano esentati da pagare le matricole alle arti112. Nel 1463 su richiesta della comunità vennero rinnovate tutte le esenzioni per altri venticinque anni con l'obbligo però di pagare annualmente, in luogo dell'estimo, duecento fiorini l'anno al camerlingo del Monte di Firenze113, oltre i cento per il Palio di San Giovanni e il salario del vicario, già stabiliti dai capitoli. Questo regime privilegiato di Poppi fu esteso poi a tutta la podesteria e riconfermato ancora nel 1599 dal Consiglio dei Duecento, dietro rescritto del granduca Ferdinando I114, salve, però, le nuove tasse delle macine e carni. Le richieste e approvazioni di queste esenzioni proseguirono fino al 1724115.
Di un certo rilievo nella politica comunale erano le spese per le cosiddette elemosine alle varie chiese e per le offerte per le feste religiose, che sebbene spesso di piccola entità erano però tra le poche spese che la comunità poteva decidere in maniera del tutto autonoma da Firenze. Queste spese erano spesso fissate dai riformatori stessi116, che decidevano a quali chiese dare l'elemosine, quali feste sovvenzionare e quanti soldi dare, anche se come spese ordinarie dovevano essere deliberate poi dal consiglio; le chiese a cui si davano l'elemosine erano San Fedele, San Francesco, a volte anche San Lorenzo, le feste erano quelle di San Torello e San Fabiano e soprattutto quella per il Corpus Domini, che doveva essere la festa più importante, perché per esempio nel 1501117 furono assegnate per questa festa ben 30 lire, mentre per quella del beato Torello solo 10; una discreta somma veniva stanziata anche per il predicatore della quaresima.
Ai priori e consiglieri spettava anche l'elezione degli ufficiali del comune, che poteva avvenire per tratta, per chiamata del consiglio stesso o per messa all'incanto; i due ufficiali più importanti sia in epoca repubblicana che medicea erano il cancelliere e il camerlingo, entrambi nati come ufficiali delle comunità ebbero in epoca granducale significative evoluzioni, in particolare il cancelliere divenne con le riforme cinquecentesche un'emanazione del potere centrale, mentre il camerlingo, pur rimanendo legato alla comunità, nel Seicento estese le sue competenze a tutta la podesteria.
Del cancelliere parleremo successivamente, vediamo ora quali erano i compiti del camerlingo, la cui elezione avveniva generalmente per tratta. A lui, dal cancelliere, doveva essere consegnato il dazzaiolo
"nel quale sia tutta l'entrata del comune cioè a estimo de' beni, testa, gravezza et ogni altra entrata di gabella, prati, casa, mulini, terreno (...) e così tutta l'uscita: stanziamenti e altre spese che sono ordinarie o straordinarie dandogli sei mesi per sei mesi, le quali tutte entrate e uscite debbe detto camerlingo a tutte sue spese dar e pagar dove e a chi sarà descritto debitore a debiti tempi. E sia tenuto a riscuotere tutte le entrate che li saranno date sul libro dal cancelliere e tutte le imposte con scritto le entrate del comune"118.
Chi non pagava tasse o altro al comune veniva segnalato dal camerlingo al cancelliere che lo scriveva sul registro dello "specchio", chi era iscritto in tale registro, anche se estratto per qualche ufficio, non poteva entrare nelle magistrature cittadine 119.
Al momento della nomina, il camerlingo doveva indicare al cancelliere due mallevadori, che dovevano essere approvati dai priori120 o dal consiglio121.
Per rivedere i suoi conti alla fine del suo mandato erano eletti sempre dal consiglio due ragionieri. Altri ufficiali eletti dal consiglio erano gli officiali di grascia122, gli arbitri123, i soprastanti e viai124, e due sindaci del vicario 125.
L'officiale di grascia aveva all'inizio principalmente il compito di stabilire i prezzi ai generi alimentari e di controllare che non vi fossero frodi126, successivamente le sue funzioni furono assunte dai soprastanti e viai127 (1501), che avevano anche il compito di controllare che venissero eseguiti i lavori di manutenzione e pulizia delle strade, i tagli delle siepi ecc. La riforma del 1526 ristabilì la figura dell'ufficiale di grascia e a lui 128 vennero affidate tutte le funzioni di controllo, mentre veniva affidato ai soprastanti il compito di mettere i prezzi alle grasce, alla carne e al pane129.
Gli stimatori ed arbitri, sempre nel numero di due, avevano il compito di "levare comporre et terminare tutte le differenze che nascessino et occorressino tra l'uno e l'altro per conto di confini" 130. Grande spazio era dato in questi statuti e riforme al "danno dato", perché in una realtà agricolo pastorale come quella di Poppi era indispensabile il controllo del territorio.
Già i capitoli del 1440 avevano previsto che di questo si occupasse il cancelliere, nel 1480131 venne redatto uno statuto riguardante esclusivamente il danno dato.
Senza dover seguire tutti i cambiamenti che si trovano su questo ufficio, basterà dire che l'ufficiale doveva essere un notaio, generalmente forestiero132, da eleggersi per tratta o all'incanto, oppure, come nello riforma del 1544, tale incarico era affidato al notaio de' malefizi del vicario133.
Egli doveva nominare uno o più campai con il compito di andare per il territorio a controllare e fare denuncie, il notaio doveva scrivere i rapporti dei campai su un libro e poi entro un dato tempo trasmetterli al cancelliere, aveva una giurisdizione ben delimitata che riguardava principalmente i danni nella campagna, ma anche il controllo dei lavori da farsi dai privati per il mantenimento delle strade e dei fossi.
Altri due stipendiati della comunità compaiono fin dal primo statuto del 1441 e cioè il maestro di scuola e il responsabile dell'orologio, presenze che indicano un certo livello economico e sociale della comunità. Negli statuti della podesteria del 1573 il responsabile dell'orologio insieme al medico veniva eletto dai sindaci di podesteria e pagato da questa134. Il maestro di scuola invece restò sempre legato alla comunità di Poppi dentro ed eletto dai suoi priori e consiglieri, anche se di lui potevano usufruire dietro pagamento anche le altre comunità della podesteria135.
Soggetti produttori:
Comunità di Poppi dentro, Poppi (Arezzo), 1448 -
1776