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Podesteria di Poppi

Livello: subfondo

Estremi cronologici: 1501 - 1776

Consistenza: 88 unità

La signoria dei conti Guidi di Battifolle, che comprendeva Poppi con parte del Casentino e una propaggine nella Romagna, agli inizi del Quattrocento era uno dei pochi esempi di potere signorile ancora esistente in Toscana; la politica antifeudale dei comuni toscani, in particolare di Firenze, aveva, infatti, relegato ai margini geografici e politici le signorie feudali1. L'azione del comune fiorentino si era fatta particolarmente pressante in questa zona dopo

la perdita di Arezzo, avvenuta al momento della cacciata del duca di Atene (1343). Inserendosi abilmente nelle liti tra le famiglie feudali della vallata, in particolare tra quelle dei vari rami dei Guidi, "Firenze accumula adagio adagio diritti su diritti, possessi su possessi, mina dal di dentro e sgretola a poco a poco tutto il vasto possesso territoriale della casata sui due versanti dell'Appennino"2: così, nel 1342, approfittando della rivolta della popolazione di Castel San Niccolò3, o forse fomentandola, s'impadronì di quel castello, acquistando poi tutto il territorio dal conte Marco nel 1359, nel 1349 s'impossessò di Ortignano4, nel 1357 di Raggiolo 5, sfruttando, anche in questo caso, le difficoltà del signore del castello, Marco Tarlati. Sempre nello stesso anno comprò Romena dai conti Guidi di quel ramo6, mentre per conquistare Bibbiena nel 13597 dovette ricorrere alle armi.

Contemporaneamente, costrinse l'uno dopo l'altro i vari rami della casata dei Guidi, ancora indipendenti, a legarsi al Comune con l'istituto dell'accomandigia 8 che, pur lasciando la piena sovranità sui territori e feudi, vincolava fortemente questi signori a livello militare e diplomatico.

Il ramo dei Battifolle, padrone di Poppi, era stato quello che più anticamente si era legato a Firenze, infatti fin dal 1273 il conte Simone in opposizione al fratello Guido Novello, si era schierato con la parte guelfa, e i suoi discendenti avevano continuato questa politica di alleanza e fedeltà a Firenze, avendone in cambio una certa tranquillità e sicurezza nel possesso dei loro territori.

Ma in un momento in cui Firenze faceva sentire più forte la sua pressione sul Casentino, anche i signori di Poppi furono costretti nel 1357 a sottoscrivere l'atto formale di accomandigia,

"I detti conti, volendo seguitare le orme dei loro predecessori, che furono sempre devoti ed amatori del Popolo e Comune di Firenze chiedono che si provveda e riformi: che essi conti e loro discendenti per linea mascolina, con castelli, terre, fortezze, corti e distretti e gli uomini dei medesimi siano ricevuti sotto la protezione e accomandigia del Popolo e Comune con questi patti: 1- Che il Comune di Firenze debba avere per raccomandati in perpetuo detti conti e a suo potere difenderli ed assisterli col consiglio e col favore. E viceversa, i detti conti siano tenuti in solido a offrire ogni anno per la festa di San Giovanbattista un palio di seta che costi almeno 10 fiorini d'oro (...) 2- Che detti conti debbano trattare come amici o nemici quelli che sono o saranno amici o nemici del Comune di Firenze e ad ogni richiesta dei Priori delle Arti e del Gonfaloniere di Giustizia da quel castello o corte far guerra ai nemici del Comune medesimo"9.

Tale atto di accomandigia fu riconfermato nel 1393 dal conte Roberto con un documento che, a differenza di quello precedente, riportava l'elenco preciso dei possessi10. Ma agli inizi del Quattrocento nell'ambito di una politica di espansione territoriale e di riorganizzazione del dominio attuati da Firenze11, anche sotto l'incalzare della pressione viscontea, la situazione dei Guidi si fece sempre più difficile12.

Diffidenze e sospetti sorsero tra Francesco figlio di Roberto e la Repubblica, in particolare quando, in seguito al tentativo del conte di impossessarsi di Borgo San Sepolcro, Giovanni Vitelleschi, legato del papa Eugenio IV, s'impadronì di alcuni castelli in Casentino e in Romagna e li consegnò alla Repubblica. Per porre fine ai sospetti le magistrature fiorentine il 27 giugno 1439 decisero la restituzione dei castelli al conte e accettarono di rinnovare l'accomandigia del 1393 a lui e ai suoi figli13.

Ciò però non fu sufficiente a tranquillizzare il conte Francesco che si sentiva continuamente minacciato, "Tutto giorno disegnano il mio Casentino farne un vicariato, e me appuntano con gli occhi"14 e la guerra che il duca di Milano, Filippo Maria Visconti decise di portare direttamente sul territorio fiorentino agli inizi del 1440 fece precipitare la situazione, il signore di Poppi, abbandonando la politica filo-fiorentina seguita per più di un secolo dalla sua famiglia, si schierò con il Piccinino, comandante dell'esercito milanese e ne favorì il passaggio dal Mugello in Casentino15.

La presa di Bibbiena, Romena e Rassina e l'assedio a Castel San Niccolò da parte dell'esercito milanese mostrano quali fossero le ambizioni del conte Francesco, ma la sconfitta ad Anghiari del Piccinino il 29 giugno 1440 e il suo precipitoso ritorno al nord lasciarono il conte privo di ogni difesa di fronte alla vendetta di Firenze che fu immediata.

Infatti, parte dell'esercito fiorentino da Anghiari si diresse subito contro Poppi e pose l'assedio al castello; dopo pochi giorni il conte fu costretto ad arrendersi16. Il 29 luglio furono firmati i capitoli17 tra i commissari del comune di Firenze: Neri Capponi e Alessandro degli Alessandri, il conte Francesco e i rappresentanti degli uomini di Poppi, Fronzola e Quota: Goro Chechi e Antonio di ser Francesco.

L'acquisizione di questi nuovi territori nel Casentino, che consentiva alla Repubblica fiorentina di avere il pieno controllo della valle, determinò un completo riassetto amministrativo e giudiziario di tutto il territorio casentinese con la creazione di un vicariato18 che riunificava sotto di sé le podesterie già esistenti, come quelle di Bibbiena e di Castel San Niccolò, e le due nuove che furono istituite con i feudi e territori del conte Francesco, cioè la podesteria di Poppi e quella di Pratovecchio.

La podesteria di Poppi comprendeva, oltre al castrum, dove risiedeva il giusdicente mandato da Firenze, le comunità e castelli vicini posti sulla riva sinistra e su quella destra dell'Arno: Poppi fuori, Fronzola, Ragginopoli, Riosecco e Quota.

Tutte queste comunità, eccetto Poppi dentro e Quota, erano federazioni di organismi minori chiamati «popoli»19, che avevano, però, una loro visibilità negli statuti e negli estimi fino ad essere ancora presenti nei dazzaioli settecenteschi della tassa di macine, anche in quelli dopo la riforma leopoldina. Così Poppi fuori era formato da Porrena e Corsignano, Sala, Filetto, Loscove, Quorle e Strumi; Fronzola da Fronzola, Buiano, Larniano, San Martino in Tremoleto e Memmenano; Ragginopoli da Ragginopoli, Monte, Pratale, Bucena, Agna e Lierna; Riosecco da Riosecco e Lucciano.

All'interno della struttura amministrativa dello stato fiorentino la podesteria ricopriva un ruolo molto importante come punto di raccolta del sistema impositivo, era infatti al camerlingo di podesteria che i Nove mandavano, come vedremo, le lettere del "Chiesto".

La prima riforma a noi pervenuta della podesteria di Poppi è del I marzo145220, i riformatori21 sono i sei sindaci in carica, così suddivisi: tre per Poppi, uno per Fronzola, uno per Ragginopoli e Lierna, uno per Quota e Riosecco; come si vede non è presente fra questi il rappresentante del comune di Poppi fuori, ma proprio in questa riforma venne deliberato che anche questa comunità22 avesse un proprio rappresentante. Furono, infatti, istituite sei borse23: una per Poppi dentro, una per Poppi fuori, una per Fronzola, una per Ragginopoli e Lierna e due per i comuni di Quota e Riosecco.

Da queste borse ogni sei mesi, a cominciare dal I maggio, si estraevano i sei sindaci: due per Poppi dentro, uno per Poppi fuori, lo stesso per Fronzola e Ragginopoli, mentre dalle due borse di Quota e Riosecco se ne doveva estrarre uno, il primo semestre, dalla borsa di Quota, il secondo da quella di Riosecco. Per l'imborsazione dei nomi non venivano fissati criteri precisi, ma si davano solo indicazioni generiche di idoneità 24. Questi rappresentanti si riunivano nel palazzo del vicario, convocati dal messo di podesteria, per mandato del cancelliere "I quali sei sindaci (...) o quattro di loro per lo meno possino e abbino quella autorità e balia a tutta la podesteria di Poppi di potere stanziare e approvare qualunque spesa fatta in detta podesteria ordinata e compilata delle spese de' salari tutti, cioè salario di sindaco, cancellieri, camerlingo, sindaci che sindacano il vicario, soprasindaci e de' notaio de sindaci, salario di massario, salario del messo del notaio deputato al civile"25. Dovevano inoltre eleggere il cancelliere e potevano eleggere, in caso di necessità, un ambasciatore o un procuratore. Per ulteriori spese però

"E non possino detti sindaci per alcun modo (...) spendere stanziare o ordinare più spese straordinarie delle nominate et ordinate ne' presenti ordini più che lire 10. E se accadesse in detta podesteria alcuna maggiore spesa che di lire 10 alora et in quel caso detti sei sindaci abino quella intendere et intesa ciascuno sindaco ne faccia raporto al suo comune perché e come sono tali spese. Il qual comune abbia a compagnia del suo sindaco darli uno altro uomo del suo comune. Et questi tali aggiunti co detti sindaci examinino e ritrattino dette spese straordinarie et quelle spese possino et debbino stanziare a fave nere e bianche. E darne partito una volta e più per insino in tre volte per ciascun dì saranno raunati et per le dodici fave nere (...) nulla fava bianca (...) si vinca altrimenti no"26.

Per far fronte a tutte le spese ordinarie e straordinarie i sindaci dovevano porre il dazio "ponendo per lira e soldo come vorrà la ragione, riscontrandosi per lo stesso camerlingo sopra lo salario e distribuzione del salario di messer lo vicario"27.Tra i sei rappresentanti veniva eletto ad estrazione un proposto, che durava in carica per un tempo stabilito dai sindaci stessi, a cui spettava di proporre i partiti da deliberare28. Era compito dei sei riformatori formare la borsa del soprasindaco, che era il rappresentante della podesteria nel vicariato e quella per i sindaci per sindacare il vicario per il criminale, da cui doveva essere estratto il sindaco quando toccava alla podesteria di Poppi29. Per eleggere i sindaci per il civile si dovevano, invece, fare tre borse: una per Poppi dentro, una per Fronzola, una per Lierna e Ragginopoli, da queste tre borse si dovevano estrarre due sindaci ogni sei mesi, uno dalla borsa di Poppi e l'altro alternativamente dalle altre due. Questi due sindaci dovevano sindacare oltre al vicario e suoi ufficiali anche il camerlingo di podesteria e potevano eleggersi un notaio30. Il camerlingo 31 sempre estratto da una borsa apposita, oltre a riscuotere e pagare le entrate e le uscite di podesteria era tenuto anche a tenere i depositi delle condanne dei malefici che spettavano alla Camera del Comune di Firenze.

Le riforme successive non portarono grandi cambiamenti alla struttura delineata, si può accennare solo al tentativo fatto nel 151432 di eliminare completamente, per la podesteria, la rappresentanza delle comunità, abolendo i sei sindaci e il loro cancelliere e demandando al soprasindaco del vicariato di intervenire per le spese straordinarie o al vicario di convocare dei cittadini. Ma questa abolizione non piacque, se, appena cinque anni dopo, fu ripristinato l'ufficio dei sindaci col sistema delle imborsazioni e delle tratte33.

Nel 1572-1573 fu dato incarico dai sindaci di podesteria a ser Piero di Mariano Catani, notaio di Poppi, di fare un nuovo statuto34, che fu redatto in latino e tradotto poi in volgare nel 1581.

Questo, di cui vi sono più copie nella Biblioteca Rilliana35 e una nell'Archivio di Stato di Firenze36, si può considerare lo statuto definitivo della podesteria poppese; esso, pur non apportando cambiamenti sostanziali alla struttura amministrativa, delineava il quadro di tutti gli uffici sia della podesteria che delle singole comunità e riorganizzava tutta la legislazione per il civile, il criminale e il danno dato.

Vi erano però anche alcuni cambiamenti significativi rivolti a far emergere in maniera significativa la supremazia di Poppi dentro sulle altre comunità: il camerlingo di Poppi dentro diventava anche il camerlingo della podesteria37, i grasceri e soprastanti che erano tratti dalle borse del comune di Poppi avevano il compito di fissare, insieme al cancelliere, il prezzo delle carni fresche e salate, del pane, olio, grasce, pesce "e di tutto ciò che si vende al minuto" per tutte le comunità della podesteria38, infine il soprasindaco, cioè il rappresentante della podesteria nel vicariato, non doveva essere più eletto, perché il suo compito doveva essere svolto dal gonfaloniere di Poppi 39. Oltre agli officiali già detti si prevedevano a carico della podesteria anche due messi al servizio del vicario, un "medico dottorato"40 con residenza a Poppi, ma che era per tutto il territorio e un maestro di scuola, che, eletto dai priori e consiglio di Poppi per insegnare ai fanciulli di quella comunità, poteva servire anche a quelli di tutta la podesteria "che pagata la conveniente mercede e salario vorranno andare a scuola"41.

A spese di tutta la podesteria era anche il mantenimento del palazzo del vicario e dell'orologio della torre, per cui i sindaci dovevano eleggere un "massaro" per custodire i mobili e le masserizie del palazzo vicariale 42 e un "maestro" che "temperi e corregga" l'orologio43. Spettava ai sei sindaci "stanziare tutte le spese ordinarie e straordinarie e tutte le quantità di denari e altre cose che occorreranno farsi in detta podesteria"44 e avevano anche il compito di "provvedere che si suoni l'avemaria con la campana grossa del palazzo del vicario al tempo di pioggia o mal tempo e il giorno di sabato e tutto a spese di detta podesteria"45. Questa struttura amministrativa rimase inalterata fino alla riforma di Pietro Leopoldo che per Poppi entrò in vigore il I novembre 1776.