Livello: serie
Estremi cronologici: 1815 - 1848Consistenza: 38 unità
La tassa di famiglia venne introdotta con legge dell'11 febbraio 1815, in
sostituzione della tassa sul macinato. I legislatori, per non far mancare al Regio Erario una delle sue indispensabili, e congrue
risorse, decisero di introdurre una tassa analoga a quella
personale ma più proporzionata alle condizioni delle famiglie e meno complicata
nella sua percezione. La tassa era un'imposta che ricadeva su tutti i capifamiglia,
con esclusione delle famiglie indigenti e miserabili, la cui quota veniva ripartita
tra le famiglie "capaci" e su tutti i detentori di un reddito La tassa era un'imposta che ricadeva su tutti i capifamiglia, con
esclusione delle famiglie indigenti e miserabili, la cui quota veniva ripartita
tra le famiglie "capaci" e su tutti i detentori di un reddito.
Erano quindi inclusi in questa categoria i possessori
di suolo, gli impiegati, quelli che traevano lucro da qualunque professione
liberale, i negozianti, i banchieri, i corpi morali, i mercanti all'ingrosso e
al minuto, gli artisti, i locandieri, trattori e osti. Ogni anno
il governo centrale determinava la quota che la comunità era tenuta a versare alla
Camera di Sovrintendenza comunitativa. Spettava ai magistrati comunitativi nominare
una commissione, detta Deputazione dei Reparti, formata da tre membri scelti tra le
persone più probe e istruite del
luogo; nel caso in cui nessuno avesse i requisiti ricoprire questo
incarico, i magistrati comunitativi, in accordo con il giusdicente locale e il
cancelliere comunitativo, erano autorizzati a procedere alla formazione dei detti
ruoli. I deputati, considerando le diverse condizioni delle famiglie, formavano i
"reparti", ossia i registri dei contribuenti ripartiti per fasce di reddito (cinque
inizialmente che nel corso degli anni aumentarono sino a otto). Per far sì che
l'intera tangente di tassa assegnata alla
comunità fosse distribuita
proporzionatamente sulle diverse classi e sulle famiglie e
persone, i deputati potevano ricavare notizie utili anche dai
ruoli sulla base dei quali era stata distribuita la tassa personale o rivolgersi ai
parroci. Spettava infine al cancelliere comunitativo fornire tutte le informazioni
necessarie. I reparti, ottenuta l'approvazione del consiglio municipale del
provveditore della Sovrintendenza comunitativa, venivano resi pubblici e utilizzati
dal cancelliere per la compilazione dei dazzaioli, consegnati successivamente al
camarlingo per la riscossione dell'imposta di cui era tenuto a rendere conto nel
saldo al termine del suo mandato annuale per mezzo di
un titolo separato, che denoti la somma imposta, quella pagata alla R. cassa, e
i defalchi, e altre spese occorse nell'anno. La tassa poteva
essere pagata dai contribuenti nel corso dell'anno in quattro rate uguali, una ogni
tre mesi. Ai morosi era applicata una penale del dieci per cento, a favore per metà
del cancelliere comunitativo e per l'altra metà del camarlingo.