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Tassa di famiglia

Livello: serie

Estremi cronologici: 1815 - 1872

Consistenza: 57 unità

Nel febbraio del 1815 Ferdinando III abolì la tassa di macine e istituì la tassa di famiglia, che doveva risultare "più proporzionale alle condizioni delle famiglie e meno complicata nella sua percezione". La tassa fu suddivisa per contingenti fra tutte le comunità del Granducato. Il compito di distribuire l'importo della tassa fra le famiglie o persone della comunità, esclusi coloro che fossero indigenti o miserabili, fu affidato ad una Commissione, nominata dai Magistrati comunitativi, della quale dovevano essere chiamati a far parte "le persone più probe e più istruite del luogo". Dell'esazione delle poste della tassa furono incaricati i camarlinghi comunitativi, che poi provvedevano al versamento nella Cassa degli Uffici comunitativi e quindi nella Reale depositeria generale. Erano soggetti all'imposta "tutti i possessori di beni immobili, gli impiegati, i negozianti, i banchieri, i corpi morali, i commercianti all'ingrosso e al minuto, gli artisti, locandieri, trattori e osti". Secondo quanto stabilito nelle Istruzioni la tassa doveva ripartirsi per classi e toccava alla Deputazione eletta dai Magistrati comunitativi attribuire la quota spettante a ciascuna classe e formare gli Stati per classi 1 . Deputati si potevano avvalere, per la formazione dei ruoli, delle notizie ricavate da quelli della tassa personale uo. Gli stati, una volta ultimati, dovevano essere sottoposti all'approvazione del Magistrato e quindi a quella della Soprintendenza comunitativa. La tassa doveva essere pagata in quattro rate, con scadenza trimestrale. Le comunità erano inoltre autorizzate ad "aumentare"; nel caso che a causa di questo aumento si realizzasse un'entrata maggiore, questa rimaneva nelle casse della comunità.