Livello: fondo
Estremi cronologici: 1551 ago. 30 - 1776Consistenza: 86 unità
Le origini romane di San Marcello sono attestate dai ritrovamenti sepolcrali
avvenuti nelle sue vicinanze e dalla posizione del sito, adagiato su uno dei più
importanti itinerari che fino dall'epoca romana collegavano Pistoia ed il Modenese
1
.
Tuttavia, la derivazione del nome de luogo dal console Claudio Marcello è, in mancanza
di precisi riferimenti documentari, soltanto ipotizzabile. È certo, invece, il formarsi
della comunità intorno alla pieve omonima, che si trova citata per la prima volta in una
cartula del 7 aprile del 1085
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e che nel 1133, in conseguenza di una bolla di
papa Innocenzo I, fu riconosciuta appartenente la giurisdizione del vescovo Atto di
Pistoia
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. Come molti altri territori
pistoiesi, anche quello di San Marcello fu concesso dall'imperatore Enrico VI, con un
diploma pubblicato nel 1191, al conte Guido Guerra dei conti Guidi di Modigliana. Figurò
per la prima volta come comune rurale indipendente da Pistoia nel 1244, quando venne
recensito a scopi fiscali, insieme a tutti gli altri comuni del contado, dal capoluogo.
Il paese, che contava allora 117 fuochi
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,
era suddiviso in due frazioni, una, la più popolosa, detta "de plebe", l'altra "de
cappella S. Michelis"
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. Nel 1255, il comune, la cui
giurisdizione si spingeva fino allo spartiacque appenninico e il cui territorio
confinava con quelli dei comuni limitrofi di Lizzano, Gavinana e Piteglio
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, appariva retto da un podestà, coadiuvato
da un notaio e da un camarlingo
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. I disordini
politici scoppiati tra la fine del Duecento e i primi anni del Trecento fra guelfi
"bianchi", capeggiati dalla famiglia panciatichi, e guelfi "neri", guidati da quella dei
Cancellieri, coinvolsero profondamente tutta la Montagna pistoiese e, fra gli altri
comuni, anche San Marcello
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.
Il successivo scontro fra il ghibellino Castruccio Castracani, signore di Lucca, ed i
fiorentini, avvenuto fra il 1325 ed il 1328, portò nuovamente scompiglio fra le due
fazioni contrapposte, che si affrontarono soprattutto nel territorio montano. Fu proprio
in conseguenza degli strascichi di questa guerra che fece la comparsa a San Marcello,
nel 1330, il "capitano della Montagna", con funzioni militari e di controllo sulle
podesterie locali; il primo a rivestirne la carica fu Agnolo Panciatichi, esponente di
spicco della fazione alleata dei fiorentini (vedi l'introduzione al Capitanato della
Montagna di Pistoia). Il comune fu coinvolto, anche nei secoli XV e XVI, dall'ormai
endemica guerra di fazioni fra Cancellieri e Panciatichi, che veniva sovrapponendosi ai
successi ed agli insuccessi dell'espansionismo mediceo. Durante la guerra fra la
repubblica fiorentina e gli eserciti mediceo-imperiali, nel 1530, San Marcello venne
messo a ferro e fuoco dalle truppe di Francesco Ferrucci, che sarebbero state
tragicamente sconfitte a Gavinana
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. Nel secolo XVII, il comune, già sede,
in compartecipazione con Lizzano e Cutigliano, del Capitanato della Montagna, divenne
residenza di una cancelleria, con la medesima circoscrizione del Capitanato. Con la
riforma comunitativa del 1775, tutti i comuni che formavano il territorio del Capitanato
della Montagna, compreso San Marcello, entrarono a far parte della nuova Comunità della
Montagna, anch'essa con sede a San Marcello, che venne così ad ospitare le tre più
importanti magistrature territoriali.
La struttura politica ed amministrativa del
comune di San Marcello comincia ad emergere dalle riforme e dalle correzioni contenute
in uno statuto quattrocentesco, conservato presso l'Archivio di Stato di Firenze
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, che fu
compilato nel 1453 per ripartire più equamente gli uffici fra le fazioni dei Panciatichi
e dei Cancellieri. La copia, ivi contenuta, di una precedente redazione statutaria del
1438 rivela che ai vertici della comunità si collocavano due "vicari"
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, i quali venivano estratti ogni sei mesi da una borsa composta da trenta
o quaranta nomi appositamente squittinati. I vicari, che erano coadiuvati da quattro
"consiglieri", sorteggiati anch'essi ogni sei mesi da una borsa composta da cento nomi,
disponevano dell'iniziativa legislativa e andavano a formare, con quelli sorteggiati
negli altri comuni, il Consiglio Generale del Capitanato. Il "consiglio generale
maggiore" composto da dodici uomini, in carica per sei mesi ed estratti da una borsa
contenente gli uomini allibrati nel comune da almeno venticinque anni, aveva soltanto
funzione consultiva. Degli altri incarichi, l'elezione del camarlingo spettava ai
magistrati comunali; venivano invece sorteggiati quelli di tassatore della carne e del
vino e di ufficiale addetto alla distribuzione del sale o salaiolo.
Come si è
accennato, lo statuto del 1453 fu redatto, sotto il controllo dei "Cinque conservatori
del contado", con lo scopo precipuo di sedare le intemperanze che si accompagnavano
all'estrazione dei vicari e dei consiglieri, dovute alla contrapposizione delle due
fazioni dei Panciatichi e dei Cancellieri: per evitare scontri e tumulti, che nascevano
da estrazioni mal ripartite, si crearono due borse distinte, una di parte panciatica e
una di parte cancelliera, che venivano conservate in chiesa ed aperte dal rettore della
chiesa stessa.
A partire dal 1551, si ha un quadro più ampio del funzionamento
dell'apparato comunale durante il Ducato e il Granducato mediceo, grazie alle notizie
contenute nei registri sopravvissuti di "partiti e deliberazioni" del comune, che
venivano redatti da un cancelliere locale, eletto dal consiglio generale ed in carica
per un anno
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. Avvicinandosi
il primo di marzo, giorno dell'entrata in carica, venivano estratti due vicari, che
avrebbero governato per sei mesi, fino a tutto agosto. I vicari sorteggiati dovevano
mettere a "partito"le proposte di riforme nel consiglio generale, che le approvava o le
respingeva. Inoltre, si incaricavano di mettere all'incanto per sei mesi gli uffici di
depositario dei pegni e di camarlingo
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, e nominavano una guardia dei danni dati, o campaio; gli
uffici degli stimatori dei beni e del camarlingo del sale venivano invece sorteggiati.
In caso di necessità, veniva posto all'incanto l'incarico di provveditore al
rifornimento di grani presso l'ufficio dell'Abbondanza di Firenze; gli uomini incaricati
della distribuzione del grano venivano invece eletti dai vicari. L'operato dei
camarlinghi era riveduto da una commissione di sindaci.
Dallo statuto del 1591,
conservato nell'archivio comunale
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, non
emergono riforme di tipo amministrativo, se non quella di stabilire un consiglio di
dodici uomini esperti, che effettivamente si sostituì nel corso del secolo XVII al
consiglio generale, un organo ritenuto probabilmente di scarsa affidabilità.
Contemporaneamente l'onerosa carica di vicario, la cui investitura riceveva numerosi
rifiuti da parte degli estratti e che veniva svolta spesso, come si lamenta nei partiti,
"con debolezza ed inefficienza", andò scindendosi in due tronconi: "vicario", o "vicario
dei malefici", continuò a chiamarsi il funzionario incaricato di inviare i rapporti sui
malefici commessi nella comunità al capitano della Montagna, mentre "rappresentanti"
furono denominati due ufficiali che si sarebbero dovuti occupare di tutti gli altri
affari della comunità
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. L'ufficio di camarlingo della
comunità, che veniva posto all'incanto, prese dapprima il nome di "camarlingo del
dazio", poi, quando ad esso fu affidata anche la riscossione della tassa del macinato,
di "camarlingo del dazio e polizze"
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, dove con
polizze si intendeva "polizze del macinare"; negli anni di carestia, venne affiancato da
un particolare camarlingo detto "dei viveri", che si occupava dell'aspetto finanziario
(restituzione dei capitali prestati alla comunità e riscossioni dei pagamenti dei
viveri) e della distribuzione annonaria. L'ufficio di camarlingo del sale, detto poi
della Canova, che precedentemente veniva estratto da un'apposita borsa, nel corso del
secolo XVII fu anch'esso messo all'incanto e concesso al miglior offerente.
Soggetti produttori:
Comune di San Marcello, San Marcello Pistoiese
(Pistoia), 1551 - 1775