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Tipologia: inventario analitico
a cura di Paola Cervia
patrocinio: Provincia di Massa-Carrara; Comune di Licciana Nardi
Pubblicazione: inedito, documento ad uso interno, 2008
Descrizione fisica: pp. 110
Contenuti:
Il territorio del Comune di Licciana Nardi, la cui moderna denominazione deriva dal patriota varanese Anacarsi Nardi,1 coincide per gran parte con l'impluvio del torrente Taverone, un affluente del Magra, ed è situato lungo l'antico tracciato della strada di Linari2 che attraverso l'omonimo passo mette sul versante parmense degli Appennini.Questo territorio deve la sua peculiare storia istituzionale all'antica condizione di cerniera posta sul confine tra più Stati; vi confluirono infatti comunità caratterizzate da vicende storiche ed istituzionali assai complesse e difformi tra loro.Le comunità di Licciana, Ponte, Monti e Bastia, rimasti feudi malaspiniani fino al 1797, divennero parte della Repubblica Cisalpina e poi del Regno d'Italia per essere annesse all'Impero francese nel 1811 e successivamente al Ducato austro-estense di Modena. Terrarossa e Riccò, dapprima comprese nel Granducato di Toscana, furono unite all'Impero francese nel 1808, poi restituite al Governo toscano e quindi cedute al Ducato austro-estense di Modena nel 1849. Infine Varano, già Podesteria del Ducato di Modena, seguì le sorti degli ex-feudi di Lunigiana dal 1797 fino alla Restaurazione, quando ritornò ad essere un Comune estense.Sebbene l'Archivio storico comunale di Licciana conservi solo una unità documentaria a testimonianza dell'amministrazione feudale, questa sezione introduttiva fornisce un breve profilo storico di tutti i feudi il cui dominio si protrasse nei territori dell'odierno Comune fino all'arrivo delle truppe napoleoniche, così da offrire un quadro di riferimento più completo in termini di storia istituzionale.Il periodo preso in esame inizia dai secoli XV e XVI, quando dalla dissoluzione del feudo di Olivola e dalla spartizione di quello Villafranca si enuclearono diversi feudi minori. I marchesi Malaspina infatti seguivano il diritto longobardo che prevedeva la suddivisione dei beni anche tra i figli cadetti, suddivisione che non riguardava soltanto i beni allodiali ma anche la titolarità dell'istituto giuridico feudale. Questa usanza comportò un continuo processo di disgregazione del territorio e di impoverimento dei feudatari, al punto da indurre non di rado questi ultimi a vendere la propria signoria ad una potenza limitrofa, come nel caso dei feudi di Riccò e di Terrarossa; oppure da spingere gli abitanti di una comunità a darsi in accomandigia presso un sovrano estero, come nel caso della comunità di Varano. Solo a partire dal secolo XVI secolo si cercò di porre un freno a questa progressiva frammentazione, quando sempre più famiglie marchionali adottarono l'istituto del maggiorascato, tra queste le famiglie dei marchesi di Licciana e dei marchesi di Bastia.3
Il feudo di Licciana e PanicaleIl feudo di Licciana deriva da quello di Villafranca, che anticamente si estendeva in Lunigiana e in Val Trebbia. In Lunigiana la sua signoria comprendeva le ville (paesi) di Canossa, Lusuolo, Tresana, Giovagallo, Aulla, Bibola e Montedivalli, nonché gran parte dei territori della valle del Taverone (Monti, Licciana, Panicale, Bastia) e della Val di Vara (Bolano, Calice e Suvero). In seguito a successive divisioni tra eredi questo feudo originò signorie territorialmente sempre più esigue. Nell'anno 1500 furono i fratelli Tommaso e Giovanni Spinetta Malaspina a spartirsi ciò che rimaneva del feudo di Villafranca: a Tommaso andò la signoria di Villafranca, cui furono assegnate le ville o castella di Virgoletta, Castevoli, Villa, Brugnato, Rocchetta, Stadomelli, Beverone e Cavanella, mentre a Giovanni Spinetta pervennero Licciana, Panicale, Monti, Bastia, Montevignale, Terrarossa, Podenzana e Suvero, che costituirono un feudo separato.4Nel 1535 si ebbe un'ulteriore suddivisione ad opera dei figli di Giovanni Spinetta i quali si spartirono il feudo paterno originando tre feudi minori, tra cui quello di Licciana e Panicale.5 Signore di Licciana e Panicale divenne Iacopo, il quale ricevette conferma dell'investitura nel 1549 dall'imperatore Ferdinando I.6 Alla morte di Iacopo, avvenuta nel 1573, il feudo passò ai figli Cornelio e Alfonso, i quali furono confermati nell'investitura da parte dell'imperatore Rodolfo II il 17 ottobre 1577. In quello stesso anno, in data 5 dicembre, i fratelli stipularono un contratto nel quale si stabiliva l'indissolubilità del feudo paterno. In base a questo contratto il marchesato sarebbe stato tenuto a titolo pro indiviso fino alla morte dei due fratelli e in seguito sarebbe stato regolato dal principio della primogenitura, principio da far valere prima per i discendenti del fratello maggiore Cornelio ed in loro mancanza per quelli di Alfonso. Ai cadetti della famiglia esclusi dalla primogenitura sarebbe andata una rendita proporzionale, mentre alle discendenti femmine sarebbe spettata una dote.7 Regolava il diritto alla ereditarietà dei feudi originati nel 1535 anche un patto sottoscritto nel 1563 tra i marchesi Leonardo di Podenzana, Torquato di Monti e Suvero, Fioramonte di Bastia e Ponte Bosio e Iacopo di Licciana e Panicale; in questo patto si affermava, in virtù dalla comune radice delle loro famiglie, il diritto alla reciproca successione in caso di mancanza di eredi maschi.8Cornelio morì nel 1616 senza lasciare eredi maschi legittimi, così il marchesato passò ad Obizzo, figlio di Alfonso. La linea maschile diretta di primogenitura vide quindi succedersi Iacopo II (1641-1649) e Obizzo II (1649-1717). Sotto quest'ultimo venne firmato nel 1686 un trattato di accomandigia con il Granduca Cosimo III di Toscana, interessato al territorio liccianese perché situato sulla strada che attraverso il passo di Linari metteva nell'Appennino Emiliano di lì in Lombardia.9 Questo trattato avrebbe dovuto essere ratificato tramite compromesso stipulato il 12 luglio 1691 con cui il marchese Obizzo II, da tempo stabilitosi a Firenze, cedeva al Granduca Cosimo il proprio feudo nonché i beni allodiali ivi posseduti in cambio del mero e misto impero delle terre di Certaldo e Lucardo, con tutti i privilegi e diritti inerenti. La permuta non ebbe però reale attuazione per due motivi: il disaccordo della marchesa Paola, che reggeva il feudo in assenza del marito Obizzo, ed il malcontento suscitato tra gli altri feudatari lunigianesi che vedevano leso il loro diritto alla successione in caso di interruzione della linea di discendenza maschile di Obizzo. Tra i feudatari più determinati a opporre resistenza alle pretese granducali fu il marchese Francesco Antonio di Suvero. Questi convinse la marchesa Paola a chiedere l'intervento del Commissario della Repubblica di Genova in Sarzana che subito schierò a Licciana le sue truppe. L'iniziativa fu però censurata da Genova, poco incline a scontrarsi apertamente con Firenze; di conseguenza anche il sostegno degli altri feudatari venne meno. La marchesa, sempre più isolata e preoccupata per il futuro del figlio Iacopo, il quale nel frattempo era trattenuto a Siena contro la sua volontà dal Granduca, rimise al Consiglio aulico imperiale il giudizio in merito alla validità della permuta. L'autorità si pronunciò contro il Granduca con una sentenza che proibiva al marchese di Licciana qualsiasi alienazione o permuta del feudo.10Alla morte di Obizzo II, avvenuta presumibilmente nel 1717, il figlio Iacopo (Giacomo) Antonio subentrò nella signoria. In quello stesso anno sorse una controversia originata dalla riapertura di una dogana di sale ad Aulla ad opera del marchese Alessandro di Podenzana; questi si era obbligato a ricevere il sale da Genova, ne aveva rincarato il prezzo e aveva proibito ai suoi sudditi di rifornirsi di sale di diversa provenienza. Licciana, che risentì del rincaro, vide a sua volta riaperta l'antica dogana ad opera del giovane marchese il quale, forte dell'accomandigia rinnovata con Firenze, ottenne di farsi arrivare il sale da Massa, in modo da non dipendere da Aulla e da intercettare quei sudditi della bassa Lunigiana che in precedenza si rifornivano a Linari senza passare per il suo feudo. Per contro il marchese di Podenzana, con l'aiuto del marchese Serafino di Bastia e vantando antichi diritti di passaggio per quella parte di territorio liccianese dove scorre il canale di Redimargine, convinse il Duca di Modena a consentire il passaggio di merci attraverso Varano, sede di Podesteria estense confinante con Licciana. La causa, che coinvolse anche il marchese Ferdinando del Ponte Bosio, fu portata davanti al plenipotenziario cesareo in Italia conte Carlo Borromeo di Arese, giudice delegato dalla corte imperiale di Vienna a decidere in merito alle cause tra feudatari.11 Il 14 febbraio 1818 si ebbe un primo pronunciamento a favore del marchese di Licciana, ma i marchesi di Bastia e di Ponte Bosio si appellarono facendo ricorso. A porre fine alle liti non valse neppure il compromesso raggiunto nel 1719 nel corso dell'arbitrato tra l'abate Antonio Maria Venturini di Pontremoli, rappresentante del marchese di Licciana, e l'avvocato Giuseppe Ambrogio Brunetti di Massa, per parte dei marchesi di Bastia e Ponte: data infatti 7 aprile 1721 il decreto del plenipotenziario cesareo ai marchesi di Ponte e Bastia in cui si rende noto l'annullamento del decreto emanato da quella stessa autorità il 7 dicembre 1720 a loro favore, diffidando i ricorrenti dal contravvenire a quanto stabilito nel primo decreto sub pena marcarum auri viginti.12A Iacopo Antonio III, morto nel 1741 subentrò Cornelio, il quale però rimase a Modena, dove risiedeva, lasciando presumibilmente l'amministrazione del feudo al fratello Ignazio che gli successe alla sua morte, avvenuta nel 1778.13Pochi anni prima dell'arrivo delle truppe napoleoniche e dell'editto del generale Chabot che abolì tutti i feudi in Lunigiana,14 il marchese Ignazio di Licciana moriva nel 1794 senza eredi maschi, e così anche il marchese Giovanni di Bastia.15 I diritti sui feudi vacanti fu oggetto di disputa tra i marchesi Claudio di Ponte Bosio, Alfonso di Podenzana e Torquato IV di Monti e Suvero; esito della controversia fu che Bastia venne assegnata al marchese di Ponte Bosio e Licciana ad Alfonso, già detentore del feudo di Podenzana, Aulla e Bibola.16Le istituzioni in vigore in questi feudi erano sostanzialmente ancora quelle contenute negli antichi Statuti promulgati nel 1304 a Villafranca. I regolamenti statutari prevedevano che le varie ville fossero rappresentate da un console e da consiglieri, la cui carica durava un anno. Al termine dell'incarico il console nominava tre "probi uomini" che concorrevano a scegliere il nuovo console e il massaro (o borsiero), quest'ultimo con funzioni di cassiere e di conservatore delle borse contenenti i nomi degli eleggibili. Oltre a regolare le funzioni degli officiali comunitativi, gli Statuti raccoglievano l'insieme delle norme e definivano le magistrature giudiziarie, tutte di nomina marchionale, riservando al marchese la carica di sommo giudice o giudice d'appello. Il podestà, affiancato da un notaro e da un cancelliere, giudicava le cause di prima istanza sulla base delle norme raccolte negli Statuti e, in assenza di queste, del diritto romano. Nominati dal marchese erano anche il cursore (o corriero), e la guardia delle carceri (o sbiro).17Dallo studio delle carte conservate nell'ASCL risulta che nel feudo di Licciana venivano nominati due consoli: uno per la comunità di Licciana ed uno per quella di Salano (Villa di Sopra). Spettava ai consoli curare la trascrizione di eventuali proteste o istanze da parte degli abitanti e provvedere al pagamento delle spese per i salari e per la riparazione dei beni comuni con i proventi delle rendite comunitative; di queste spese dovevano trasmettere le note (polizze) al tesoriere il quale le trascriveva su appositi registri per tenerne la contabilità. Gli officiali della comunità ricevevano un compenso che per i consoli ammontava a 78 lire trimestrali da spartire tra loro.18Per l'amministrazione della giustizia aveva funzione di giudice di prima istanza l'auditore nominato dal marchese, il quale esercitava la giustizia in materia sia civile che criminale nel Tribunale di Licciana. Presso questo tribunale agli inizi del Settecento è presente la figura di un cancelliere demandato alla trascrizione degli atti, mentre nel periodo immediatamente precedente l'occupazione francese la carica di auditore non è affiancata da alcun cancelliere o attuario.19Per quanto riguarda le imposizioni fiscali i feudatari in Lunigiana non fecero mai ricorso a tassazioni dirette; in genere ricevevano dai sudditi avarie e prestazioni varie, mentre riconoscevano alle comunità privative, dogane e a altri diritti.20 In particolare a Licciana e a Monti i marchesi Malaspina godevano del reddito dei molini, mentre alle comunità spettavano i capitoli di censo e terreni ed i redditi derivanti dagli appalti su macello, osterie e tabacco.21Con l'arrivo delle truppe francesi in Lunigiana le istituzioni feudali si dissolsero ed il territorio fu suddiviso amministrativamente in dipartimenti, distretti e comuni. Licciana fu eretta Municipalità nel 1797 e nel suo territorio confluì anche l'ex Feudo di Monti e Fenile.
Il feudo di Monti e FenileIl feudo di Monti e Fenile trae origine nel 1535 dalla suddivisione del marchesato di Monti e Suvero tra i figli di Giovanni Spinetta Malaspina. La signoria di Monti fu assegnata a Fioramonte, il quale permutò il proprio marchesato con il fratello Morello, all'epoca ancora minorenne, in cambio di quello di Bastia e Ponte Bosio.22 Morello morì nel 1578 e suo figlio Orazio, che si era dedicato alla carriera ecclesiastica, non lasciò eredi se non un figlio illegittimo, Rodolfo, cui spettò solo il godimento di alcuni beni allodiali. Eredi legittimi erano i cugini paterni: il marchese Alessandro di Podenzana, i marchesi Alfonso e Cornelio di Licciana, i marchesi Torquato, Leonida e Fabio di Suvero e infine i marchesi Camillo, Ettore, Fabrizio, Giulio e Ascanio di Bastia. Nel 1582, alla morte di Orazio, nacquero contese tra gli eredi che si conclusero nel 1584 con un accordo secondo il quale il feudo di Monti fu diviso in tre parti: Alessandro di Podenzana ebbe un terzo del castello ed alcuni fuochi in San Martino, alla Pieve, alla Giarella e a Fenile; una seconda parte comprendente un terzo del castello e le terre di Avola e Campocontro andò ai fratelli Alfonso e Cornelio di Licciana; infine un'ultima parte formata dalla porzione restante del castello, dallo stesso Borgo di Bastia e da Terra di Monti pervenne al marchese Torquato di Suvero.23 Il marchese Leonardo di Podenzana, erede di Alessandro, ricevette la conferma dell'investitura per la porzione a lui spettante in data 14 dicembre 1615 da parte dell'imperatore Mattia.24 Nel 1664 suo figlio il marchese Francesco di Podenzana acquistò anche quella parte del marchesato di Monti posseduta dal marchese Francesco Antonio di Suvero.25Riguardo ai beni allodiali pertinenti al feudo, costituiti dai redditi dei torchi da olio e dei mulini da farina, si segnala come nella petizione al Prefetto del Dipartimento degli Appennini allegata al verbale del Consiglio comunale in data 4 dicembre 1812 il marchese Torquato IV di Suvero afferma che: "allorché del 1583 venne a mancare per la successione il marchese Orazio di Monti, in forza del patto di famiglia fu diviso il feudo e li beni allodiali, tra i quali era la metà dei redditi dei torchi e mulini suddetti, tra li Malaspina di Suvero, Bastia, Podenzana e Licciana, restando sempre l'altra metà alla Comune di Fenile e Monti."26
I feudi di Bastia e Ponte BosioIl marchesato di Bastia, costituitosi in seguito alla già ricordata divisione del feudo di Monti e Suvero del 1535, comprendeva le terre di Bastia, Ponte Bosio e Terrarossa. Titolare della signoria fu il marchese Fioramonte, in virtù di una permuta con il fratello Morello. Alla morte di Fioramonte, avvenuta nel 1574, il feudo andò in parti uguali a tutti i figli maschi, ma i beni si rivelarono insufficienti a sostenere il decoro adeguato e così cinque dei sei fratelli titolari del feudo stabilirono che l'asse paterno sarebbe stato diviso secondo il principio del maggiorascato. Dissentì da questa decisione il quartogenito Fabrizio che presentò ricorso all'imperatore ottenendo l'assegnazione di Terrarossa, precedentemente venduta dai fratelli Camillo e Corrado al marchese di Monti.Morto Camillo nel 1612 la signoria sul feudo passò al figlio maggiore Corrado, il quale perì poco dopo nelle guerre di Fiandra. Il secondogenito Carlo subì nel 1618 un attacco armato da parte del fratello Nestore, deciso ad assumere su di sé la signoria. La popolazione, temendo gli eccessi del nuovo feudatario, determinò di chiedere l'intervento del Granduca di Toscana. Carlo fu ripristinato nella sua posizione ed il Granduca ottenne un patto di accomandigia valevole per cinquanta anni.27Carlo morì nel 1622 lasciando la reggenza del marchesato al fratello Ippolito fino a quando il figlio Camillo non avesse raggiunto la maggiore età. L'anno dopo morì anche Camillo ed così Ippolito assunse il governo del marchesato. Si oppose a questa successione Lodovico, suo cugino per parte di padre, il quale fece ricorso presso il Consiglio aulico imperiale con la motivazione che il titolo di suddiacono di Ippolito contrastava con quello di feudatario dell'imperatore. Di risposta Ippolito chiese e ottenne l'annullamento dell'ordine sacro presso il Tribunale della Rota Romana, quindi prese per moglie Taddea, figlia del marchese Francesco Malaspina di Tresana. La lite ebbe fine nel 1631 grazie ad una transazione in virtù della quale ad Ippolito rimase la fortezza, il castello e la terra di Bastia con le ville di Cisigliana, Paretola e Parana, mentre a Lodovico furono assegnati la villa e il castello di Ponte Bosio con le ville di Cucarello, Avella, Ronca e Case dei Reali.28 Alla morte di Ippolito, avvenuta nel 1638, il marchesato di Bastia passò al figlio Francesco, il quale era ancora minore e non poté assumerne il governo fino al 1645. Nel periodo di passaggio resse la signoria la madre Taddea, affiancata dal marchese Ottavio Malaspina di Montereggio. Francesco era molto legato al Duca di Parma, presso il quale prestava servizio, e risedette per gran parte della sua vita a Parma, governando il suo feudo tramite la madre Taddea. Il figlio Serafino gli successe alla sua morte, avvenuta nel 1695. Ugualmente Serafino lasciò Bastia per Parma, succedendo al padre anche negli incarichi di corte. Da quella città intraprese alcuni tentativi per rientrare in possesso del marchesato di Ponte Bosio facendo ricorso nel 1707 al Consiglio aulico imperiale, che però si pronunciò a favore del marchese Ferdinando di Ponte Bosio.29Serafino morì nel 1736; gli successe il figlio Giovanni che come il padre resse il marchesato da Parma lasciando gli incarichi di governo del feudo a dei ministri di sua nomina. Morì nel 1783 senza eredi maschi, così il marchesato di Bastia andò al marchese Claudio di Pontebosio.30Questi riunì i due feudi ricevendone l'investitura dall'imperatore Leopoldo II il 27 ottobre 179131
L'archivio storico del Comune di Licciana Nardi, qui descritto nella sua parte preunitaria, è attualmente conservato presso il castello malaspiniano di Terrarossa e comprende le carte delle antiche comunità di Licciana, Terrarossa, Varano, Ponte e Riccò. Il trasferimento presso la nuova sede, avvenuto nel 2012, ha coinciso con l'intervento di riordino fisico condotto sulla base della schedatura delle unità precedentemente realizzata tra gli anni 2006 e 2007. All'epoca della schedatura il materiale, la cui consistenza era quantificata in 124 buste e 38 registri, era depositato all'interno di un locale al piano terra situato nel paese di Licciana, commisto con le carte dell'archivio di deposito. Sebbene l'estremo cronologico remoto delle carte sia l'anno 1583, l'archivio non conserva pressoché alcuna testimonianza dell'amministrazione feudale32 poiché i documenti precedenti il 1797 costituiscono l'archivio privato dei marchesi Malaspina di Licciana, confluito in quello della famiglia dei marchesi Montecuccoli di Modena a seguito del matrimonio tra Amedea Malaspina e Massimiliano Montecuccoli, celebrato alla fine del XVIII secolo.33Il periodo degli antichi regimi risulta invece più documentato per le comunità di Terrarossa e di Riccò, le cui carte erano originariamente conservate nell'archivio della Cancelleria comunitativa di Bagnone, sede di una delle due circoscrizioni amministrative in cui era suddivisa la Lunigiana granducale.34 Nel 1797, a seguito della soppressione ad opera degli occupanti francesi, le carte di questa magistratura furono distribuite tra quelle comunità da cui era composta che nel frattempo erano state erette in Municipalità, tra cui Terrarossa.Scarsa e poco significativa è infine la documentazione relativa all'antica Podesteria estense di Varano, in riferimento alla quale l'unica documentazione esistente è quella conservata a Modena nell'Archivio Estense, principalmente nelle serie: "Rettori dello Stato, Reggio Reggiano" (bb. 6332-6337) per i secoli XV - XVIII, e "Buongoverno" (filza n. 120) per gli anni 1754-1796.35
L'ordinamento delle carte non è quello originale, bensì il risultato di un precedente riordino effettuato da Manlio Erta il quale, a conclusione del suo intervento, redasse un inventario sommario molto sintetico pubblicato nel 1982. Erta ripartì le carte per comunità e, internamente, produsse una suddivisione sulla base del criterio per materie, originando delle serie che dal periodo degli antichi regimi giungevano ininterrottamente fino al 1870.36L'opera di riordino attualmente posta in essere ha avuto come obiettivo l'individuazione e la ripartizione delle carte prodotte dalle diverse istituzioni che si sono succedute nell'amministrazione del territorio. All'interno di ciascun fondo - data l'impossibilità di ricostituire l'ordinamento originale - si è attuata la separazione dei documenti deliberativi e del carteggio di sindaci, maires, gonfalonieri e podestà dagli atti, per i quali si è mantenuto il criterio adottato da Erta, provvedendo però a correggere le incongruenze originate dalla creazione artificiosa di serie che coprono più ordinamenti amministrativi. Nel corso dell'intervento si è inoltre reintegrato nel fondo della Comune poi Mairie di Licciana quella corrispondenza che, nel periodo immediatamente successivo alla Restaurazione, fu estrapolata ed inserita nell'archivio del nascente Comune austro-estense di Varano senza alcun motivo apparente.37L'archivio risulta composto in larga parte da carte sciolte. Rispetto a tale materiale va detto che l'operazione di schedatura ha reso subito evidente l'inopportunità di assegnare valore di unità archivistiche alle buste poste in essere da Erta, in quanto risultato di scelte metodologicamente incoerenti. In previsione delle inevitabili modifiche da attuarsi in fase di riordino fisico, si è scelto piuttosto di assumere come unità le cartelle, al cui interno sono generalmente raggruppati documenti di natura omogenea prodotti dalla medesima magistratura nell'arco di un anno. Il termine "cartella" è stato preferito a quello di "fascicolo" per non generare equivoci riguardo al processo formativo, determinato non già da un'attività di fascicolazione basata sul sistema congiunto protocollo-titolario da parte degli ordinatori originali, bensì dal riordino effettuato intorno all'inizio degli anni 'ottanta del Novecento.Questa scelta operativa si rispecchia nel presente inventario che attribuisce i numeri di corda alle unità individuate in fase di schedatura. Le unità archivistiche (tra registri e cartelle) risultano in totale 1.380 e sono condizionate in 172 buste.Le serie in cui sono suddivisi i fondi sono corredate da introduzioni nelle quali si fa menzione degli ordinamenti archivistici originari e della provenienza delle carte, laddove se ne è reso possibile il rilevamento. A questo proposito si segnala la presenza in archivio di una copia manoscritta del Prospetto delle materie e denominazioni principali divise in titoli generali ed in rubriche per la classificazione delle carte ad uso degli archivi delle prefetture dipartimentali. Sotto il governo della Repubblica Italiana era stato infatti introdotto l'uso del protocollo con la registrazione dei documenti in entrata e in uscita e l'indicazione della classifica desunta dal "titolario", ovvero dal quadro di classificazione per materie o titoli, suddivise a loro volta in rubriche. I dipartimenti del Crostolo e del Panaro adottarono questo sistema già dagli anni 1797-1798 e ne diffusero l'utilizzo nelle prefetture, nelle viceprefetture, negli uffici di polizia e nelle comuni a partire dal 1803.38Il riordino per materie effettuato agli inizi degli anni ottanta e l'approssimazione con cui venivano tenuti i rari registri di protocollo pervenuti non permettono comunque di determinare quanto questo prospetto fosse seguito; appare invece certa l'applicazione di un titolario sotto amministrazione austro-estense. In merito a ciò va detto che nei territori del Ducato austro-estense di Modena il mutare delle competenze assegnate alle amministrazioni comunali determinò nel corso degli anni l'avvicendarsi di diversi titolari, senza criteri di uniformità tra i vari comuni.39 I titoli presenti sulle poche camice originali superstiti sembrano comunque rimandare, a partire dal 1848, alle classi del titolario in uso al Ministero dell'Interno con sede a Modena.40Limitatamente a quanto la documentazione ha reso possibile si è ricostruito i nominativi e la cronologia degli "officiali" che si sono succeduti nelle seguenti cariche: gonfalonieri, presidenti di municipalità, sindaci, maires e podestà (elencati nella tabella in appendice); camarlinghi (indicati internamente a ciascun "registro dei saldi").L'intervento di schedatura ha consentito anche di enucleare le carte della Congregazione di carità di Licciana, i documenti afferenti a diverse commissioni e deputazioni attive a livello locale, un registro del Tribunale di Varano, nonché due registri sei-settecenteschi appartenenti ad un archivio privato, quello della famiglia Turchetti di Varano. Sono stati inoltre reperiti due registri settecenteschi di deliberazioni delle comunità di Lusuolo e di Fornoli, paesi attualmente compresi nei comuni di Mulazzo e Villafranca in Lunigiana. Tali registri, la cui presenza nell'ASCL non appare giustificata da motivi storico-istituzionali, erano conservati rispettivamente tra le carte della Comunità di Riccò e della Comunità di Terrarossa probabilmente per ragioni fortuite, legate alle vicende istituzionali che queste comunità ebbero a condividere dal periodo dell'occupazione francese fino al 1848. Di particolare interesse è il registro di deliberazioni della Comunità di Fornoli, poiché la conservazione di eventuali altre carte relative ad essa era demandata all'Archivio storico comunale di Villafranca, che andò distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale.Si segnala in ultimo come in fase di schedatura si siano trovate solo 123 buste delle 124 censite da Erta: è risultata infatti mancante la busta n. 3 dell'inventario di Erta, contenente "Circolari e carteggio del Prefetto 1813-1814". Inoltre, all'interno della busta contrassegnata da Erta con il n. 1, è risultato mancare anche il "Registro dei bandi e delle grida del feudatario" datato 1759. [N.d.R.: l'attività di schedatura svolta tra il 2006 e il 2007 aveva permesso il ritrovamento di alcuni atti di natura eterogenea relativi al feudo di Licciana. Per gran parte si trattava di carte riguardanti cause ereditarie e questioni di confine tra le famiglie dei marchesi Malaspina di Licciana, Ponte e Bastia; vi era poi documentazione prodotta dall'auditore, dai consoli e dai tesorieri di Licciana. Parte delle informazioni relative agli ordinamenti esistenti nel feudo di Licciana che sono contenute in questa introduzione storica traggono origine proprio da quelle carte. Questi atti, esclusi dall'inventario di Erta, erano contenuti in una cartella sulla cui coperta era scritto, con inchiostro a china e grafia novecentesca, "Documenti ritrovati in diverse cartelle". Data l'impossibilità di reinserire le carte nella sistemazione originaria, e per assicurare migliori condizioni di conservazione, si era provveduto a mettere questi documenti in una busta e a raggrupparli all'interno di camice sulla base delle autorità di riferimento.A distanza di cinque anni, quando è stato possibile intraprendere l'attività di riordino fisico, queste carte sono risultate purtroppo irreperibili.]
I criteri seguiti nella redazione della presente schedatura sono i seguenti:- Il supporto scrittoreo si intende cartaceo manoscritto salvo diversa indicazione;- la datazione è riportata sempre con lo stile moderno, eventuali altri stili sono aggiunti di seguito tra parentesi- le ricostruzioni di dati sulla base di indicazioni esterne sono scritte tra parentesi quadre;- le vecchie segnature sono riportate in quest'ordine: prima la più antica e poi, separata da un punto e virgola, la più recente.
Tavola delle abbreviazioni
1. LICCIANA
1.1 Feudo di Licciana e Panicale (1632 - 1637)
1.2 Comune poi Mairie di Licciana (1797 - 1814)
1.3 Comune austro-estese poi Podesteria di Licciana (1815 - 1859)
1.4 Comune di Licciana (1860 - 1870)
1.5 Congregazione di carità poi Burò di beneficenza di Licciana (1806 - 1825)
1.6 Commissione di beneficenza di Licciana (1853 - 1856)
2. PONTEBOSIO
2.1 Comune di Ponte (Pontebosio), 1805 - 1811
3. RICCÒ
3.1 Comunità di Riccò (1583 - 1766)
4. TERRAROSSA
4.1 Comunità di Terrarossa (1618 - 1808)
4.2 Mairie di Terrarossa (1808 - 1814)
4.3 Comunità di Terrarossa (1814 - 1848)
4.4 Comune austro-estense poi Podesteria di Terrarossa (1849 - 1859)
4.4 Comune di Terrarossa (1860 - 1869)
4.5 Deputazione poi Commissione all'imposizione e lavori dei fiumi di Terrarossa (1807 - 1861)
4.6 Deputazione per l'arruolamento militare di Terrarossa (1826 - 1841)
4.7 Commissione di Beneficenza di Terrarossa (1854 - 1858)
5. VARANO
5.1 Podesteria di Varano (1691)
5.2 Comune di Varano (1797 - 1803; 1805 - 1811)
5.3 Comune austro-estense di Varano (1814 - 1848)
5.4 Tribunale di Varano (1795 - 1815)
5.5 Famiglia Turchetti di Varano (1655 - 1838)
6. LUSUOLO
6.1 Comunità di Lusuolo (1602 - 1777)
7. FORNOLI
7.1 Comunità di Fornoli (1747 - 1777)
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Codifica: Paola Cervia, marzo 2011 - ottobre 2016Paolo Santoboni, revisione, gennaio - febbraio 2017