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Podesteria di Cerreto

Sede: Cerreto Guidi (Firenze)

Date di esistenza: sec. XV - 1796

Intestazioni: Podesteria di Cerreto, Cerreto Guidi (Firenze), sec. XV - 1796

Storia amministrativa:

Nel 1415 il sistema delle leghe era stato soppiantato dall'organizzazione per podesterie e vicariati.

Podesterie e vicariati rappresentavano, come il nome suggerisce, le circoscrizioni territoriali in cui si trovavano ad operare rispettivamente i podestà ed i vicari; ma mentre questi ufficiali erano stati sporadicamente presenti in varie località del dominio fiorentino lungo tutto il secolo XIV, il fatto nuovo collocabile tra l'ultimo quarto del secolo ed i primi due decenni del successivo fu il loro stabilizzarsi e la fissazione dei rispettivi ambiti territoriali di competenza.

Podestà e vicari erano i rappresentanti del governo centrale (Signoria di Firenze e poi, dal pieno secolo XVI in poi, governo granducale), inviati nel territorio ad esercitarvi le funzioni connesse con la iurisdictio (funzione di governo, amministrazione della giustizia, ecc.); più connotati in senso politico, i podestà venivano inviati nei principali centri del dominio, più a carattere militare la competenza dei vicari (non a caso i primi vicari di cui si ha notizia erano dei connestabili1) si esercitava di solito su un'intera provincia; per la loro configurazione, che almeno all'inizio poneva l'accento più sulla rappresentanza politica e sulla difesa dell'ordine pubblico, che sulle funzioni giudiziarie, non era richiesta a questi ufficiali alcuna preparazione tecnico-giuridica, mentre l'appartenenza alla classe dirigente fiorentina, l'affidabilità politica e la contiguità con il governo della Dominante erano requisiti imprescindibili.

La saltuaria presenza di un podestà fiorentino a Cerreto, in genere dietro richiesta degli stessi abitanti alla Signoria di Firenze, è documentata lungo tutto il secolo XTV. Si trattò in questo primo periodo di una presenza che non interferiva con il sistema di organizzazione del territorio per popoli, pivieri e leghe; al contrario la provvisione dell'agosto 1376 che istituiva nuovi podestà in varie località del contado, tra cui anche Vinci e Cerreto, diceva espressamente che questi ufficiali avrebbero dovuto assumere le funzioni che nell'ordinamento fiorentino erano prima attribuite ai capitani delle leghe.2 In questo modo i podestà, da allora in poi scelti con il sistema dell'estrazione a sorte e non più eletti o nominati al bisogno dal governo fiorentino, diventano una presenza stabile e non occasionale e le circoscrizioni territoriali su cui esercitano le competenze, insieme a quelle più ampie costituite dai vicariati, divengono maghe di una rete che di lì a poco coprirà tutto il dominio fiorentino.

Pinaccio di Simone Strozzi fu il primo podestà di Cerreto eletto con il nuovo sistema per un semestre a partire dal 19 febbraio 1377; egli doveva esercitare le sue competenze a Cerreto, Colligonzi e Colle alla Pietra, mentre a Vinci veniva destinato un altro podestà. Quello di Cerreto doveva portare con sé un piccolo gruppo di collaboratori formato da un notaio e da due famigli, oltre ad un cavallo per gli spostamenti; gli era destinato un salario di trecento lire per il semestre in cui sarebbe rimasto in carica, pagabili con il provento delle multe e condanne pecuniarie e facendo sborsare l'eventuale disavanzo dagli abitanti della circoscrizione, secondo la rata dell'estimo assegnata a ciascun capofamiglia. Al podestà di Vinci era stata invece assegnata una "famiglia" composta da un notaio, quattro famigli ed un cavallo, con un salario semestrale di lire 350.

Questi podestà, oltre alla generale rappresentanza politica, dovevano amministrare la giustizia civile, decidendo cause fino a cinque lire di valore e perseguire i malfattori e punire i reati per cui era prevista una pena pecuniaria fino allo stesso valore. Dovevano inoltre adoperarsi per la cattura dei malviventi, sorvegliare sull'ordine pubblico e sul buono stato delle fortificazioni.

Da allora in poi i podestà fiorentini si succedettero semestralmente a Cerreto, come negli altri luoghi deputati a capoluogo di podesteria, mentre la circoscrizione territoriale loro affidata si dovette dotare di un apparato amministrativo per essere in grado di corrispondere il salario all'ufficiale fiorentino e di ripartirne la spesa tra gli abitanti. Fu per questo motivo che nacquero i vari consigli di podesteria, cui i comuni e i popoli compresi nel territorio inviavano i loro rappresentanti e la complessa gerarchia di camarlinghi incaricati di riscuotere dai contribuenti quanto necessario al mantenimento delle corti podestarili, alla costruzione e manutenzione dei palazzi pretori con l'annesso carcere, al salario dei vari cancellieri, messi, guardie, custodi, ecc., che la presenza del podestà rendeva necessari e furono redatti gli Statuti che regolavano tutti questi aspetti.

In molti casi le circoscrizioni podestarili ricalcarono i confini dell'antica lega, per cui nelle fonti coeve i due termini podesteria e lega divennero intercambiabili; non fu questo però il caso del territorio che qui ci interessa: l'antica lega di Capraia, di cui Cerreto aveva fatto parte nel periodo precedente al 1376, fu smembrata a formare almeno tre podesterie: Capraia, Vinci e Cerreto; quest'ultima risultò composta, oltre che dal comune omonimo, da quelli di Colligonzi e di Colle alla Pietra.

In base agli Statuti del 1412 al vertice del comune di Cerreto c'erano due Capitani di parte guelfa, coadiuvati da 10 consiglieri, i quali con altri venticinque consiglieri aggiunti formavano il consiglio generale, depositario della rappresentanza di tutto il comune. Da essi si evince che la competenza del podestà di Cerreto era stata portata fino a cento lire e che, oltre alla "famiglia" che doveva portare con sé ai sensi della legislazione fiorentina, era coadiuvato da alcuni ufficiali a carico del comune. Ma l'articolazione territoriale della podesteria di Cerreto, con l'organico dei suoi impiegati e le relative spese di funzionamento, piuttosto che dagli Statuti, possono essere più efficacemente colte da un'eccezionale fonte documentaria risalente al 1418.

In quel periodo la repubblica fiorentina, che fino ad allora aveva lasciato una relativa autonomia alle comunità soggette, istituì un'apposita commissione di cinque cittadini "super correctionem et resecationem expensarum comunitatum", allo scopo cioè di studiare il modo di comprimere le spese delle comunità del contado. Questa commissione, destinata a trasformarsi di lì a poco in una magistratura stabile per il controllo delle spese comunitative, con il nome di "Cinque conservatori del contado fiorentino", attuò prima di tutto un'indagine conoscitiva su quali erano le voci fisse di spesa delle varie circoscrizioni territoriali del contado fiorentino (popoli, comuni, podesterie, vicariati), i cui risultati sono giunti fino a noi e costituiscono una fonte preziosissima di informazioni.3

Innanzi tutto accanto alla voce "podesteria di Cerreto" compare l'annotazione "non fa in legha", cosa che interviene a confermare quanto era emerso dall'esame dagli Statuti del 1412, ovverosia la mancanza di una struttura federativa (consiglio di podesteria), nonché di ufficiali addetti a tutta la circoscrizione. La podesteria di Cerreto pertanto ha come struttura amministrativa soltanto la somma degli "organici" delle sue varie componenti territoriali: di esse il comune di Cerreto, oltre agli organismi rappresentativi (capitani e consiglieri), era dotato di un camarlingo, di due messi, di un sindaco dei malefici, di un campanaio, di un notaio con funzioni di cancelliere e di amministratore del "danno dato"(il settore giudiziario che si occupava dei danneggiamenti alle colture e che era rimasto di pertinenza delle comunità). Da questo documento, come del resto da un'annotazione presente negli Statuti del 1412, veniamo a sapere che in quest'epoca il podestà non risiedeva nel palazzo comunale, anche se lo utilizzava per tenervi udienza, ma abitava in una casa di proprietà della compagnia della Vergine Maria, con un canone annuale di dodici lire, a carico degli abitanti della podesteria.

Di un camarlingo, di un messo che fungeva anche da campanaio, di un sindaco dei malefici e delle prestazioni occasionali di un notaio, per redigere le scritture necessarie, si valeva anche il comune di Colligonzi, il quale però, risultando composto dai cinque popoli di santa Maria a Colligonzi, santa Maria a Pagnana Mina (oggi Spicchio), san Bartolomeo a Sovigliana, san Donato in Greti e san Martino a Petroio, poteva contare anche sui cinque camarlinghi dei rispettivi popoli; analogamente il comune di Colle alla Pietra disponeva di un sindaco dei malefici, di un messo e occasionalmente di un notaio per le scritture, mentre non vi era un camarlingo del comune, bensì soltanto i camarlinghi dei quattro popoli che lo componevano; di questi i primi due, santo Stefano a Codiano e santa Maria a Gonfienti (oggi Bassa) avevano un camarlingo ed una guardia campestre ciascuno, mentre gli altri, san Leonardo al Colle e san Bartolomeo a Gavena, non disponevano di alcuno stipendiato fisso.

La compagine territoriale della podesteria di Cerreto rimase sostanzialmente stabile fino alle riforme settecentesche ed oltre, come del resto l'organico, anche se alcune figure professionali, prima tra tutte quella del cancelliere, subirono profondi cambiamenti con l'andare del tempo, come vedremo meglio in seguito.

Il podestà di Cerreto, secondo un'evoluzione che interessò in generale tutto il dominio fiorentino, perse con l'andar del tempo la maggior parte delle sue connotazioni politiche e si identificò sempre di più con il giudice ordinario in materia civile del territorio di sua competenza; analogamente i vicari conobbero una parallela evoluzione che li portò a divenire i giudici penali ordinari della propria circoscrizione che ordinariamente comprendeva più podesterie; non esisteva alcun rapporto gerarchico fra i due ruoli, entrambi affidati per tutto il periodo precedente alle riforme leopoldine a cittadini fiorentini abili agli uffici maggiori, tanto che la stessa persona poteva essere nel corso della sua vita chiamata a ricoprire più volte indifferentemente l'uno e l'altro dei due incarichi. Gli unici tecnici della situazione, coloro che erano in grado di istruire un processo, civile o penale, e di redigerne gli atti erano i notai della "famiglia" che ciascun vicario o podestà era tenuto a portare con sé in ufficio e che assistevano il giusdicente nell'esercizio delle sue funzioni, in un ruolo a mezza strada tra il cancelliere di tribunale e il giudice "a latere". Inizialmente questi notai venivano liberamente scelti dal giusdicente, al quale erano legati da un rapporto sostanzialmente privatistico; a partire dal 1570 si affermò su di loro un controllo sempre più forte da parte degli organi del governo centrale.4

La compagine territoriale della podesteria di Cerreto rimase sostanzialmente stabile fino alle riforme settecentesche ed oltre, come del resto l'organico, anche se alcune figure professionali, prima tra tutte quella del cancelliere, subirono profondi cambiamenti con l'andare del tempo, come vedremo meglio in seguito.

Il podestà di Cerreto, secondo un'evoluzione che interessò in generale tutto il dominio fiorentino, perse con l'andar del tempo la maggior parte delle sue connotazioni politiche e si identificò sempre di più con il giudice ordinario in materia civile del territorio di sua competenza; analogamente i vicari conobbero una parallela evoluzione che li portò a divenire i giudici penali ordinari della propria circoscrizione che ordinariamente comprendeva più podesterie; non esisteva alcun rapporto gerarchico fra i due ruoli, entrambi affidati per tutto il periodo precedente alle riforme leopoldine a cittadini fiorentini abili agli uffici maggiori, tanto che la stessa persona poteva essere nel corso della sua vita chiamata a ricoprire più volte indifferentemente l'uno e l'altro dei due incarichi. Gli unici tecnici della situazione, coloro che erano in grado di istruire un processo, civile o penale, e di redigerne gli atti erano i notai della "famiglia" che ciascun vicario o podestà era tenuto a portare con sé in ufficio e che assistevano il giusdicente nell'esercizio delle sue funzioni, in un ruolo a mezza strada tra il cancelliere di tribunale e il giudice "a latere". Inizialmente questi notai venivano liberamente scelti dal giusdicente, al quale erano legati da un rapporto sostanzialmente privatistico; a partire dal 1570 si affermò su di loro un controllo sempre più forte da parte degli organi del governo centrale.5 <...>

Il podestà, almeno dall'ultimo quarto del secolo XIV, si configurava, come si è detto, oltre che come rappresentante del governo centrale, come giudice civile ordinario per gli abitanti della podesteria;6 in realtà questo ruolo era limitato dal privilegio dei cittadini fiorentini (tra le principali famiglie del patriziato cittadino che detenevano importanti interessi economici nella zona di Cerreto Guidi si possono annoverare gli Adimari, i Gaddi, i Borgherini, gli Alessandri e poi gli stessi Medici) di essere giudicati soltanto da tribunali cittadini e dall'estendersi al contado della competenza di alcune magistrature, competenti a giudicare controversie di natura particolare (le Arti, il tribunale di Mercanzia, i Nove Conservatori del Dominio, ecc.). A ciò si aggiunga il fatto che un particolare settore giudiziario, quello dei danneggiamenti alle colture (il cosiddetto "danno dato") rimase per secoli di pertinenza delle comunità, che lo esercitavano di solito per mezzo di un notaio direttamente stipendiato da loro; nel caso di Cerreto Guidi la competenza sul danno dato veniva cumulata dal cancelliere del comune, in margine alla sua attività di attuario.

Queste limitazioni, insieme al fatto che la maggior parte delle controversie nate tra gli abitanti della podesteria erano di valore irrisorio e si risolvevano in via pregiudiziale, mediante il ricorso ad arbitrati, spiega l'esiguo numero di atti civili fra i documenti prodotti dai singoli podestà. La stragrande maggioranza dell'attività di questi ultimi consisteva infatti negli atti esecutivi, ovverosia nel costringere, anche mediante sequestri e pignoramenti, i debitori morosi a pagare i loro debiti, tanto verso privati ("Esecutivo privato" si chiama questa branca dell'attività podestarile), che nei confronti di pubbliche amministrazioni; questi ultimi debiti venivano ulteriormente distinti secondo che si trattasse di debiti verso camarlinghi locali ("Pubblico di podesteria") o nei confronti di magistrature fiorentine ("Pubblico di Firenze"). Altra gravosa funzione del podestà era quella di dare esecuzione agli ordini che gli venivano da Firenze: attuare le "comandate", ossia le prestazioni di lavoro obbligatorie cui gli abitanti della podesteria erano tenuti per l'esecuzione di opere ritenute di pubblica utilità; eseguire censimenti di tutti gli abitanti, come avvenne nel 1551, o di specifiche categorie produttive, o di raccolti e produzioni particolari; effettuare visite ispettive alle carceri, agli ospedali, ai mulini.

Mentre in alcune podesterie più importanti il podestà aveva anche una più o meno estesa competenza criminale,7 a Cerreto, in quanto sede di podesteria minore, al podestà spettava soltanto la punizione di piccole infrazioni, come la disobbedienza, l'oltraggio a pubblico ufficiale, il danneggiamento di pubblici edifici e poco altro.

Per i reati veri e propri si ricorreva al vicario di San Miniato, il quale, come si è già detto, non aveva in linea di principio alcuna superiorità gerarchica sui podestà della sua circoscrizione, ma di fatto, per poter esercitare le sue funzioni, doveva spesso inviare ordini ai podestà (ordini di cattura, di sequestro, ecc.); ai vicari talvolta, in quanto titolari di una circoscrizione più vasta, venivano inviati gli ordini del governo centrale con l'ordine di diramarli alle varie corti podestarili.

Il podestà poi, oltre che come rappresentante del governo centrale e come giusdicente, si presentava con un altro aspetto: quello di vertice gerarchico degli organismi di autogoverno locale: i verbali delle riunioni consiliari non mancano mai di sottolineare come il consiglio generale del comune si riunisce "di licentia et consenso" del podestà; quest'ultimo inoltre effettuava, prima degli anni settanta del '500, la revisione dei bilanci consuntivi o saldi dei camarlinghi, nonché tutte le operazioni connesse con il rinnovo delle cariche comunitative. Lo stretto rapporto esistente tra podestà ed amministrazione locale è sottolineato dal fatto che egli dovesse giurare all'inizio del suo mandato di osservare gli Statuti e che alla fine il suo operato fosse sottoposto a revisione da parte di sindaci locali. Gli organi deliberativi delle comunità presumibilmente non avevano in origine precisi limiti di spesa e facevano erogare le somme necessarie al camarlingo comunitativo, attingendo alle entrate del comune (consistenti quasi esclusivamente in canoni di beni immobili concessi a livello) e suddividendo il disavanzo tra gli abitanti in base alle quote dell'estimo. Con il 1419 fu invece istituita la magistratura dei Cinque Conservatori del contado, appositamente destinata al controllo delle spese comunitative, che dapprima fissò una volta per tutte il budget di ogni singola circoscrizione (dai popoli ai vicariati) e poi stabilì che le spese straordinarie dovevano essere preventivamente approvate dalla stessa magistratura. Con l'instaurazione del principato tale controllo sulle amministrazioni locali si fece più stretto e fu affidato al Magistrato dei Nove Conservatori del dominio fiorentino e della giurisdizione, che sostituì i Cinque nel 1560. Per rendere più efficiente il controllo sulle comunità e razionalizzare l'intero sistema, unificando, per quanto possibile le procedure, il nuovo magistrato cominciò a sostituire ai vari cancellieri locali, che le comunità si erano fino ad allora scelte autonomamente, dei cancellieri nominati dal governo centrale, destinati a rimanere nella sede assegnata per un periodo pluriennale: furono questi i cosiddetti "cancellieri fermi", chiamati così in contrasto con i loro predecessori, in genere soggetti a veloce rotazione, come in genere tutte le cariche comunitative.8 Oltre a questa "lunga durata" essi si distinguevano dagli attuari dei comuni per il fatto che erano alle strette dipendenze non delle amministrazioni locali ma del magistrato che su di esse esercitava la tutela, tanto che vengono talvolta chiamati dalle fonti contemporanee "cancellieri dei Nove", benché ricevessero stipendio ed alloggio dalle popolazioni locali; per il resto essi avevano la stessa connotazione professionale dei predecessori, in quanto, se escludiamo alcune sedi più importanti cui veniva destinato un dottore in legge, la stragrande maggioranza delle cancellerie fu affidata a dei notai "forestieri", cioè originari di altre comunità, come del resto, almeno a Cerreto, era accaduto anche in precedenza.9

La sostituzione di queste nuove figure ai cancellieri comunali tradizionali fu attuata senza un provvedimento formale a partire dagli anni settanta del '500 e cominciando dalle comunità più periferiche del dominio, alcune delle quali non mancarono di ribellarsi a questa novità, adducendo particolari privilegi ottenuti dalla Repubblica fiorentina al momento della sottomissione.10

Le proteste non sortirono però alcun effetto e la sostituzione dei nuovi cancellieri, ai vecchi poteva dirsi ultimata nel maggio 1575 quando furono emanate le Istruzioni per i cancellieri.11

La dislocazione dei cancellieri dei Nove ricalcò all'inizio quella dei podestà e pertanto ad ogni sede podestarile fu destinato un cancelliere. Questo semplice fatto costituì già di per sé per la nostra zona un motivo di rottura con il passato, quando le due comunità di Vinci e Cerreto Guidi avevano avuto ciascuna un proprio cancelliere; invece dal 16 settembre 1570, data di elezione di Marco Mellini da Vicchio di Mugello a cancelliere della podesteria di Vinci e Cerreto, dovettero servirsi dello stesso.12

Come sede della cancelleria fu scelta, non si sa in base a quali considerazioni, Cerreto e questo non mancò di suscitare le rimostranze degli amministratori di Vinci, i quali dapprima chiesero di poter continuare a servirsi di un loro scrivano e poi, davanti al diniego dei Nove, chiesero di far risiedere il cancelliere nel proprio comune, adducendo di rappresentare i 5/3 (sic!) dell'intera podesteria, ma anche questa istanza andò incontro alla stessa sorte.13

Il nuovo cancelliere di Cerreto, cui la comunità, oltre la quota di stipendio, dovette provvedere anche la casa, si recò nella sede assegnatagli accompagnato da precise, ancorché schematiche, istruzioni da parte dei Nove: sua prima preoccupazione doveva essere quella di far inventariare tutti i registri e le scritture esistenti presso la sede comunale, poi effettuare il rinnovo delle cariche comunitative, nonché verbalizzare tutte le sedute del consiglio comunale e redigerne le deliberazioni approvate14 ed effettivamente, se vogliamo trarre qualche indicazione da questo caso, la presenza del cancelliere dei Nove si tradusse davvero in maggiore efficienza nella prassi amministrativa e nella tenuta delle scritture. Poco dopo gli fu affidata anche la gestione amministrativa dei luoghi pii (compagnie religiose, ospedali, ecc.)15 ed in breve di ogni altro ente esistente nel territorio della podesteria.

Progressivamente, sulla base di ordini inviatigli volta per volta dal Magistrato dei Nove, il cancelliere comunitativo divenne il vero deus ex machina di tutta l'amministrazione locale e finì per sottrarre al giusdicente gran parte delle funzioni di carattere amministrativo che aveva esercitato fino a quel momento: il rinnovo delle cariche comunitative, la revisione dei bilanci dei camarlinghi, le complesse e numerose operazioni che richiedeva la ripartizione e la riscossione della tassa sul macinato, il censimento periodico dei beni e delle entrate delle comunità e luoghi pii. La superiorità gerarchica del podestà nei confronti degli amministratori locali, ivi compreso il cancelliere (gli ordini del governo centrale continuarono fino al tardo '600 ad essere indirizzate al podestà) rimase pertanto un fatto più onorifico che sostanziale.

La capillare presenza dei cancellieri rappresentava però una spesa non indifferente per le popolazioni locali, tanto che alcune comunità in precedenza avevano scelto, a scopo di risparmio, di utilizzare come attuario uno dei notai della "famiglia" del giusdicente locale.16 Per alleviare questo onere, alcuni decenni dopo l'istituzione delle cancellerie comunitative si cominciò a ridurne il numero, accorpando più podesterie sotto la competenza del medesimo cancelliere. Come già era avvenuto per la creazione delle cancellerie, anche la cancellazione di alcune sedi avvenne senza un provvedimento formale e un po' alla spicciolata: man mano che alcune sedi rimanevano vacanti non si provvedeva a ricoprirle e si sottoponeva la circoscrizione rimasta sguarnita alla competenza del cancelliere di una sede vicina. Questo processo che portò il numero delle cancellerie comunitative da 66, quante ne abbiamo potute contare nel 1575, a 46 (nel 1647)17 interessò anche la podesteria di Vinci e Cerreto che il 15 luglio 1634 fu aggregata alla cancelleria comunitativa di Empoli, cui in precedenza erano già state riunite anche le podesterie di Montelupo e Lastra a Signa.18Non si trattò di una decisione improvvisa, dal momento che quando nel 1632 i rappresentanti del comune di Cerreto avevano chiesto l'autorizzazione a spendere scudi 8 l'anno per cinque anni per la pigione dell'abitazione del cancelliere, l'avevano ricevuta solo per tre anni.19Mancano studi ed indicazioni precise in merito, ma credo di non andar lontano dal vero mettendo in rapporto la diminuzione delle cancellerie con la necessità di bilanciare le spese straordinarie derivanti dall'epidemia di peste del 1630;20inoltre la riduzione del loro numero fu probabilmente solo uno degli aspetti di una generale riorganizzazione delle cancellerie, sfociato nell'emanazione di nuove Istruzioni per i cancellieri nel 1636.

Dal 1634 e per quasi due secoli la vita amministrativa della podesteria di Cerreto e Vinci si svolse sotto l'egida del cancelliere di Empoli, il quale era costretto a recarsi di frequente a Vinci, Cerreto, Vitolini e nelle altre località sulla riva destra dell'Arno per redigere le scritture e controllare i bilanci, servendosi di una barca per attraversare il fiume, dal momento che il primo ponte che univa le due parti della sua circoscrizione fu costruito soltanto in pieno Ottocento.

La fine della dinastia medicea nel 1737 e l'inizio del periodo della cosiddetta "reggenza lorenese" non portò con sé alcun mutamento istituzionale di rilievo a livello di amministrazione locale; in questo periodo c'è se mai da rilevare il compimento di numerose inchieste su vari settori della società, i cui risultati fecero da base per il successivo riformismo leopoldino. Queste inchieste misero sotto gli occhi dei fiduciari della nuova dinastia occhi non offuscati dall'abitudine e dall'attaccamento ad antiche tradizioni tutti gli anacronismi e le contraddizioni di un apparato amministrativo e giudiziario risalente, nelle sue grandi linee, ai secoli XIVXV. In particolare destò meraviglia il sistema di conferire gli uffici per estrazione a sorte, anche se ormai questa pratica era limitata a quelli di minore importanza, e il fatto che ai rettori delle podesterie e vicariati, che avevano come compito precipuo l'amministrazione della giustizia, non fosse richiesta alcuna competenza tecnico-professionale, cosa che indurrà qualcuno del nuovo establishment a definirli "giudici idioti".

Per svecchiare questa situazione fu emanata dal granduca Pietro Leopoldo la Riforma dei tribunali provinciali del 10 luglio 1771. In base ad essa vicari e podestà dovevano essere selezionati (e non più estratti a sorte) mediante esami di idoneità tra coloro che avevano compiuto regolari corsi di studi giuridici e senza più l'anacronistico requisito della cittadinanza fiorentina.21 Questa basilare riforma fu seguita di lì a poco (30 settembre 1771) da una completa riorganizzazione territoriale delle circoscrizioni giudiziarie che ampliò il numero dei vicariati e ridusse quello delle podesterie. Per quanto riguarda la podesteria di Vinci e Cerreto fu abolita la residenza alternata e fu stabilita come unica sede del podestà Cerreto, con il solo obbligo per il podestà di recarsi a Vinci ogni domenica, per amministrarvi la giustizia. Per il penale fu sottoposta al neoistituito vicariato di Empoli.

Trattandosi di una podesteria minore, ai podestà di Cerreto Guidi non era richiesta la laurea in legge, ritenendosi sufficiente la qualifica di notaio civile, che si conseguiva con un curriculum di studi abbreviato, rispetto alla laurea, ma era pur sempre un progresso rispetto al tempo dei "giudici idioti".

Questa connotazione professionale, insieme all'abolizione del requisito della cittadinanza fiorentina portò ad un completo rinnovamento dei podestà, che da allora in poi cominciarono piuttosto ad essere reclutati tra gli ex appartenenti alla "famiglia" dei giusdicenti fiorentini. I nuovi podestà rimanevano in carica per tre anni e non per un solo semestre, come accadeva prima, e pertanto all'unica filza di atti vari, detta "civile" tout court, in cui si estrinsecava l'operato dei predecessori, si ebbero, per ciascun podestà, diverse filze, di solito composte dalla riunione di atti omogenei; si affermò infatti il metodo di archiviazione per fascicolo e non più mediante la registrazione delle diverse fasi di un procedimento in quaderni diversi, procedura che rendeva assai difficoltoso ricostruire a posteriori le varie pratiche.

Una ulteriore riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie si ebbe nel 1784 quando la podesteria di Cerreto fu staccata dal vicariato di Empoli ed aggregata a quello di Fucecchio.

Alle riforme giudiziarie leopoldine fece seguito quella delle amministrazioni commutative che si articolò nell'emanazione di un "Regolamento generale per le comunità del Contado" del 1774 (cui tennero dietro altri regolamenti generali per le varie zone in cui si era fino ad allora articolato lo stato-mosaico dei granduchi di Toscana), seguito da tanti regolamenti particolari quante erano le comunità.22 Nonostante l'accorgimento di emanare un regolamento particolare per ogni comunità, la riforma tendeva ad uniformare l'assetto istituzionale ed il funzionamento delle amministrazioni locali, che da allora in poi differirono soltanto per il numero dei componenti del magistrato comunitativo e del consiglio, nonché per l'ammontare della tassa di redenzione che prese il posto del vecchio dazio comunitativo, come diremo meglio in seguito. Veniva con questa riforma a cessare la distinzione tra contado e distretto, erano abrogati gli Statuti locali e con questi la complessa gerarchia tra popoli, comuni, comunelli, terre, ville e quanto altro aveva reso lento e complesso il funzionamento delle amministrazioni locali nel periodo precedente , nonché i particolari privilegi risalenti in molti casi al XTV secolo che alcune comunità continuavano a rivendicare.

In base al suo Regolamento particolare, emanato in data 24 maggio 1774, la nuova comunità di Cerreto Guidi assorbì il territorio degli ex comuni di Colligonzi, Colle alla Pietra, Vinci e Vitolini, nonché del popolo di Faltognano.23Aboliti i vari organi rappresentativi di questi, la nuova comunità doveva essere amministrata da un Magistrato Comunitativo formato da un gonfaloniere e quattro rappresentanti e da un consiglio di diciannove deputati, uno per ognuna delle componenti territoriali che aveva concorso a formare la nuova circoscrizione comunale. Potevano essere membri del magistrato e del consiglio tutti i possidenti del territorio comunale, ovunque fossero residenti (altra importante novità rispetto al passato, in cui gli Statuti locali escludevano rigidamente dalle cariche comunitative chi non fosse "allibrato" nel comune) ed anche rappresentanti di enti (opere pie laicali, ospedali, ecc.), purché possedessero beni immobili entro il territorio comunale. Come corollario di questa normativa si rese necessario l'impianto su basi più razionali di un nuovo Catasto e l'affidamento di esso alla responsabilità delle amministrazioni locali, attraverso l'opera dei cancellieri comunitativi. Anche in epoca leopoldina la comunità di Cerreto rimase affidata alle cure del cancelliere comunitativo di Empoli.

La Riforma comunitativa del 1774 rinnovò profondamente anche il sistema fiscale: a parte la tassa sul macinato e la Decima che continuavano ad avere reti separate di esazione, la contribuzione diretta nel contado si era basata sul dazio comunitativo, un'imposta formata di varie voci, diverse da una comunità all'altra, ma che aveva come nucleo fondamentale il "chiesto dei Nove",24ovvero una somma di denaro variabile da un anno all'altro, con cui il Magistrato dei Nove Conservatori si faceva rimborsare dalle amministrazioni locali quanto aveva speso nel loro interesse durante il precedente esercizio finanziario (lavori stradali, spese militari, costruzione di opere pubbliche, stipendi di ufficiali, ecc.). Questa somma veniva ripartita tra le comunità interessate in base alla "massa estimale", cioè alla somma delle quote di estimo di ogni singolo contribuente abitante entro i confini comunali. Questa quota era per i mezzadri agganciata al valore con cui il fondo da ciascuno lavorato era iscritto nei ruoli della Decima, cioè l'imposta sui beni immobili di origine tardo-quattrocentesca; per gli artigiani, commercianti e braccianti consisteva in una cifra forfettaria (di solito due lire per le prime due categorie, una lira per la terza); soltanto chi veniva riconosciuto "miserabile" era esente dalla contribuzione. Secondo l'ammontare del "chiesto", cui venivano aggiunte le altre "voci", come le spese pagate direttamente a livello locale, ogni contribuente era chiamato a pagare una frazione o più spesso un multiplo della cifra con cui era iscritto all'Estimo. Il compito di redigere i ruoli del dazio (come del resto anche quelli della tassa sul macinato e delle imposizioni straordinarie) era compito del cancelliere comunitativo, mentre le riscossioni e le relative scritture contabili erano pertinenza del camarlingo.

La riforma comunitativa sostituì il dazio con una tassa di redenzione pagata in misura fissa dai mezzadri, artigiani ecc. (per la determinazione della somma, era stata fatta una media delle annate precedenti); quel che mancava a raggiungere il fabbisogno stimato (il pagamento della tassa era preventivo e non a titolo di rimborso, come era stato il dazio), veniva diviso tra i possidenti.


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Comunità di Cerreto, Cerreto Guidi (Firenze), 1570 - 1774 (successore)