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Tassa di famiglia

Livello: serie

Estremi cronologici: 1815 - 1864

Consistenza: 46 unità

Nel febbraio del 1815 Ferdinando III abolì la tassa di macine e istituì la tassa di famiglia, che doveva risultare "più proporzionale alle condizioni delle famiglie e meno complicata nella sua percezione". 1 La tassa fu suddivisa per contingenti fra tutte le comunità del Granducato. Il compito di distribuire l'importo della tassa fra le famiglie o persone della comunità, esclusi coloro che fossero indigenti o miserabili, fu affidato ad una Commissione, nominata dai Magistrati comunitativi, della quale dovevano essere chiamati a far parte "le persone più probe e più istruite del luogo". Dell'esazione delle poste della tassa furono incaricati i camarlinghi comunitativi, che poi provvedevano al versamento nella Cassa degli Uffici comunitativi e quindi nella Reale depositeria generale. Erano soggetti all'imposta tutti i possessori di beni immobili, gli impiegati, i negozianti, i banchieri, i corpi morali, i commercianti all'ingrosso e al minuto, gli "artisti, locandieri, trattori e osti". Secondo quanto stabilito nelle Istruzioni la tassa doveva ripartirsi per classi e toccava alla Deputazione eletta dai Magistrati comunitativi attribuire la quota spettante a ciascuna classe e formare gli stati per classi. 2 I Deputati si potevano avvalere, per la formazione dei ruoli, delle notizie ricavate da quelli della tassa personale. 3 Gli stati, una volta ultimati, dovevano essere sottoposti all'approvazione del Magistrato e quindi a quella della Soprintendenza comunitativa. La tassa doveva essere pagata in quattro rate, con cadenza trimestrale. Le comunità erano inoltre autorizzate ad "aumentare il reparto del dieci per cento, onde tenersi al coperto dalle spese e da qualunque ribasso"; nel caso che a causa di questo aumento si realizzasse un'entrata maggiore, questa rimaneva nelle casse della comunità.