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Nuova comunità di Poppi

Livello: fondo

Estremi cronologici: 1776 - 1808

Consistenza: 49 unità

L'arrivo dei Lorena nel 1737, dopo l'estinzione della famiglia dei Medici, non ebbe immediate ripercussioni nell'assetto amministrativo del territorio; durante tutto il periodo della Reggenza le esigenze di riforma dell'amministrazione, per quanto fortemente avvertite, non trovarono attuazione o si diressero verso obiettivi diversi1. Ma l'ascesa al trono nel 1765 di Pietro Leopoldo segnò per il Granducato di Toscana un periodo di grandi riforme2, tra cui anche quella molto importante delle comunità che determinò profondi cambiamenti nel rapporto tra centro e periferia.

Nel 1774, vennero promulgati, con due motupropri separati, i regolamenti generali delle comunità di tutto il Granducato: il 23 maggio per le comunità del contado 3, il 29 settembre per quelle del distretto4; con questi nuovi regolamenti veniva spazzato via tutto il coacervo di istituzioni locali che fino ad allora aveva caratterizzato l'amministrazione del territorio, retaggio ancora dell'epoca comunale e repubblicana e veniva creata una struttura omogenea e uniforme, che ridisegnava i rapporti all'interno delle comunità e tra queste e il centro5.

Le idee cardine di questa riforma di chiara matrice fisiocratica erano fondamentalmente due: la libertà amministrativa delle comunità e il diritto di tutti i possessori di beni stabili di partecipare alla gestione6, come spiega chiaramente lo stesso Pietro Leopoldo:

"Le vedute che si sono avute per l'introduzione di questo sistema sono state di restituire alle comunità, possessori ed interessati la libera amministrazione e direzione degli interessi e affari loro, di rendere uguale a tutti i ceti di persone, purché possessori, il diritto di intervenirvi"7.

Abolite tutte le vecchie magistrature e consigli e formate comunità più ampie coincidenti grosso modo con le vecchie podesterie, il regolamento del distretto, come quello per il contado, prevedeva la creazione di un magistrato, formato da un gonfaloniere e alcuni priori, il cui numero doveva essere stabilito dai regolamenti locali, e di un consiglio; per l'elezione a queste cariche veniva mantenuto il vecchio sistema delle tratte, anche se il possesso di beni immobili diveniva il requisito fondamentale per l'imborsazione8. Da questa nuova comunità di possessori non doveva essere escluso nessuno, così anche gli enti ecclesiastici: chiese, conventi, Luoghi pii, la Religione di Santo Stefano, lo Scrittoio delle possessioni ne entravano a far parte a pieno titolo, chiamati a pagare senza più esenzioni le imposizioni, ma anche a "risiedere" nelle magistrature con dei loro rappresentanti9 e perfino alle donne era riconosciuto il diritto di essere imborsate10 e anche se non erano ritenute "per loro stesse capaci di risedere"11, era però anche a loro concessa "l'istessa facoltà di surrogare".

Le deliberazioni, i partiti e gli stanziamenti del magistrato non erano più soggetti ad alcuna approvazione superiore, salvo, però, per quanto riguardava le spese straordinarie, quelle cioè non riconosciute per annuali, alle cui deliberazioni, su richiesta del cancelliere 12, doveva intervenire anche il giusdicente locale con facoltà di sospendere la deliberazione "qualora trovasse la spesa troppo gravosa o poco utile alla comunità o Luogo pio che la doverà soffrire"13; una volta decretata la sospensione entro otto giorni, sempre il giusdicente doveva avvisare il Soprasindaco, per avere poi da lui una risoluzione che la comunità doveva rispettare14.

Infine veniva riconosciuta a tutte le comunità "la piena e libera amministrazione delle loro entrate e uscite"15, eliminando quel ruolo di controllo che per secoli avevano svolto il magistrato dei Nove e dal 1769 la Camera delle comunità16. Questa libertà era accompagnata a livello fiscale dall'abolizione del "chiesto" e dalla sua sostituzione con una tassa annua a titolo di redenzione17, che incorporava non solo le cosiddette "spese universali", ma anche tutte quelle spese che le comunità avevano fino a quel momento sostenuto direttamente, come i salari dei giusdicenti e dei cancellieri 18. L'introduzione di questa tassa capovolgeva, a livello amministrativo, i rapporti tra le comunità e il centro, era lo stato che si faceva carico di una serie di compiti che fino ad allora erano stati demandati alle singole comunità:

"All'antico modello, che assegnava alla periferia la responsabilità economica di tutti i servizi territoriali, riservando al centro di decidere e di disporre in ordine alla sua erogazione, si venne sostituendo un nuovo schema, fondato su una differenziazione materiale tra compiti centrali e locali"19.

Nel campo finanziario, però, la tassa di redenzione fu soltanto una semplificazione e non una vera riforma, perché non nacque da una revisione e ridistribuzione degli oneri fiscali e dall'accertamento dei redditi e delle basi imponibili, ma fu solo la somma delle varie voci contributive che le singole comunità avevano pagato fino a quel momento20. Di fronte a queste novità non mancarono resistenze e opposizioni da parte delle oligarchie locali, che vedevano messo in pericolo il loro predominio, ma anche paure ed incertezze di fronte alla libertà, senza più tutele; particolarmente interessante, per noi, è la lettera del 3 luglio 1775, scritta al granduca dalle comunità del Casentino, Poppi, Bibbiena, Pratovecchio, Castel San Niccolò, Chiusi

"avendo presentito che in alcune parti dei felicissimi Stati della Altezza vostra sia stato pubblicato un nuovo regolamento delle comunità e podesterie con cui restano le medesime in libertà di disporre a piacimento dei rispettivi rappresentanti le medesime in varie cose, indipendentemente dalla Camera delle comunità, riflettono i supplicanti, che, attese le circostanze particolari di detta loro provincia, sarebbe una tale libertà per produrre più e diversi sconcerti contro la mente piissima di vostra Altezza reale, si perché, venendo imborsati tutti i possidenti per rappresentanti, sono questi per la maggior parte persone idiote o totalmente incapaci a ben dirigere la comunità"

perché "nelle predette podesterie del Casentino moltissimi sono i possidenti, ma per la maggior parte di piccole rate, per cui debbano pagare l'annui dazi consistenti in tenuissime somme"; pertanto chiedono che gli affari delle loro comunità

"sieno regolati (...) nello stesso sistema di prima e che non siano le medesime costituite in libertà di disporre degli affari comunitativi indipendentemente dai ministri della Camera delle comunità, mentre credono che solamente per i predetti motivi, ma ancora per altri (...) non sia in detta Provincia particolare, né vantaggiosa, ma piuttosto pregiudiziale una simile libertà"21.

È una lettera che mostra lo smarrimento di una classe dirigente, ben diversa da quella cinquecentesca, di fronte alle novità e la sua paura di perdere la propria supremazia all'interno della comunità, ma anche difficoltà oggettive e problemi che la riforma dovette incontrare nella sua attuazione. La lettera non ottenne logicamente l'effetto di bloccare la riforma, ma conseguì il risultato per le comunità di Poppi, Bibbiena e Pratovecchio di riservare l'accesso alla carica di gonfaloniere solo a coloro che ne avevano diritto secondo le vecchie regole22.

Per la maggior parte delle comunità il nuovo regolamento prevedeva, infatti, l'istituzione di due sole borse: una per i priori e gonfaloniere e una per il consiglio; per essere imborsati nella prima bisognava avere un certo reddito derivante da proprietà immobiliare, per essere imborsati nella seconda bastava essere proprietari senza nessuna limitazione. A parte, però, le vecchie città nobili che riuscirono a mantenere una borsa separata per la nobiltà, anche numerose comunità23, come le tre casentinesi, ottennero l'istituzione di una terza borsa riservata esclusivamente all'elezione del gonfaloniere, in cui potevano essere imborsati solo coloro che ne avevano diritto secondo i vecchi statuti e le vecchie consuetudini e cioè uomini appartenenti alle vecchie oligarchie, che così riuscivano a salvaguardare la loro supremazia politica e sociale.

La riforma per la nuova comunità di Poppi fu emanata il 2 settembre 1776 con decorrenza dal primo novembre, essa prevedeva che le vecchie amministrazioni dei comuni che formavano la podesteria e cioè Poppi, Poppi fuori, Fronzola, Ragginopoli, Quota, Riosecco e Lucciano venissero abolite e si formasse una sola comunità "un sol corpo economico, ed una sola società e ragione tanto per le partite attive che passive"24. Appena due anni dopo, però, a queste sei comunità che da sempre avevano costituito la podesteria di Poppi ne furono aggiunte due nuove: Moggiona e Badia Prataglia; queste erano appartenute alla contea di Camaldoli fino alla riforma del 177625, quando erano state aggregate alla nuova comunità di Bibbiena26, ma nel 1778 per ragioni di viabilità e di maggior facilità di collegamenti fu deciso la loro unione a Poppi27.

La nuova comunità di Poppi era rappresentata da un magistrato formato da un gonfaloniere e cinque priori con tutte "le prerogative, distinzioni e autorità"28 di cui fino ad allora avevano goduto le vecchie magistrature comunitative29, affiancato da un consiglio composto da dodici consiglieri e insieme questi diciotto formavano il consiglio generale30. Per l'elezione del magistrato e del consiglio veniva stabilita la creazione di tre borse, la prima per la carica di gonfaloniere doveva essere riservata alle persone che erano ammesse, secondo le vecchie norme, "al godimento del grado di gonfaloniere nel comune di Poppi dentro", "per conservare la distinzione del grado e onori per quelle famiglie che vi sono state ammesse"31; tali persone dovevano però anche avere una quantità di beni immobili quanta era richiesta per essere imborsati nella borsa dei priori. Per evitare il pericolo di un numero troppo chiuso e ristretto e soprattutto per non restringere alle sole famiglie di Poppi la carica di gonfaloniere, si dava allo stesso magistrato la facoltà di imborsare altre persone di Poppi dentro o degli altri comuni "che per i tempi fossero trovate capaci e degne del gonfalonierato"32 a totale arbitrio dei componenti del magistrato stesso.

In un'altra borsa detta dei priori dovevano essere imborsati i nomi di tutti i possessori della comunità, i cui beni ammontassero almeno a "lire mille di massa maggiore all'estimo del comune di Poppi dentro o tante altre somme pure di massa maggiore alli estimi delli altri Comuni (...) che equivalgono alla massa predetta di lire mille di estimo di Poppi dentro, il quale dovrà servire di misura a ragguagliare le masse maggiori degli altri estimi"33. Da questa dovevano essere estratti i cinque priori che insieme al gonfaloniere formavano il magistrato.

Nella terza borsa, quella dei consiglieri dovevano essere inclusi tutti i possessori di beni immobili, in maniera "che questa borsa generale serva a dar luogo che ogni grande o piccolo possessore possa rendere il suo voto nel consiglio generale, qualora venisse estratto"34. Al magistrato del gonfaloniere e dei priori era affidata praticamente tutta la gestione amministrativa e finanziaria della comunità con l'intervento in particolari materie del consiglio generale.

A fianco del magistrato il regolamento prevedeva pochi altri ufficiali: il camerlingo, due deputati alla revisione dell'imposte e un provveditore di strade. L'elezione dei deputati doveva essere fatta con l'estrazione di quattro polizze dalla borsa dei priori, da sottoporre poi al partito del consiglio generale, a cui spettava anche nominare i medici e i cerusici. Questa struttura amministrativa non subì sostanziali mutamenti nei decenni successivi, anche se tra le fine degli anni novanta e gli inizi del nuovo secolo la Toscana fu coinvolta direttamente nelle vicende europee con l'occupazione francese, l'esilio del granduca nel 1799 e la formazione del "Regno d'Etruria" sotto i Borboni di Parma nel 1801. Solo nel 1808, quando i territori toscani furono annessi direttamente all'impero napoleonico, la struttura amministrativa leopoldina fu cancellata e sostituita da quella francese.