Sede: Lastra a Signa (Firenze)
Date di esistenza: 1774 - 1808Intestazioni: Comunità della Lastra, Lastra a Signa (Firenze), 1774 - 1808
Contesto istituzionale:
Una generale ristrutturazione del governo delle comunità del
contado fiorentino (nel quale era compresa anche la Lastra) avvenne col motuproprio di
Pietro Leopoldo del 23 maggio 1774. Il provvedimento seguiva di due anni i primi
tentativi sperimentali attuati a Volterra e a Arezzo
1
. Dopo i
giudizi particolarmente positivi (e un po' idealizzati) di storici ottocenteschi come il
Capponi e lo Zobi - per il quale la riforma comunicativa rappresentava"la più vitale
innovazione che nell'ordinamento politico interno fosse da Leopoldo I mandata ad
effetto"
2
- e dopo l'originale
interpretazione compiuta da Antonio Anzilotti nel primo trentennio del Novecento
3
, su questo tema non si dispone di uno studio storico-critico
complessivo. Come è stato recentemente notato "la storiografia è concorde nel giudicare
la riforma comunitativa uno dei punti più alti delle realizzazioni leopoldine; resta
comunque quasi completamente da chiarire in che modo essa fu preparata, quali gli
antefatti e l'ispirazione teorica che la informarono, quale il significato politico di
una tale realizzazione, quali infine i risultati, al di là delle intenzioni normative,
ottenuti e le modifiche rispetto ai sistemi precedenti"
4
. All'Anzilotti la
riforma municipale toscana appare come la soluzione di un secolare problema storico,
quello del riequilibrio tra città e campagna, un processo che segna "il tramonto dello
Stato cittadino" e l'emergere dello Stato moderno, caratterizzato, prima di tutto,
dall'esigenza di stabilire "un'unità tributaria" tra i sudditi anche allo scopo di
accrescere e consolidare le entrate pubbliche. Per garantire un'equa ripartizione delle
imposte attraverso i comuni, "indipendentemente da qualsiasi astratto sistema di
organizzazione dello Stato", si concede una forma di rappresentanza che dia voce" a
interessi collettivi fino allora trascurati o dimenticati dai prevalenti ceti
cittadini"
5
. Nella mente dell'Anzilotti, che si rifaceva strettamente al pensiero del
consigliere leopoldino Francesco Maria Gianni, questo processo storico proteso verso
l'unificazione economica, tributaria e amministrativa del territorio era in diretto
rapporto con il progetto granducale di varare una moderna costituzione
6
. Come in generale ha osservato Nicola Raponi "sarebbe inesatto
enfatizzare... questa tendenza verso la modernizzazione dello stato come un processo
lineare, che elimini di colpo e senza contrasti le antitesi che tali trasformazioni
indubbiamente comportano"
7
. Alcune verifiche locali hanno, infatti, messo in risalto che Pietro
Leopoldo "in effetti, non giunse a creare un ordinamento totalmente nuovo, ma dovette
ricercare un compromesso - abbastanza faticoso - tra le istituzioni antiche, dure a
morire, e le istanze illuministiche del suo programma di radicale intervento in ogni
settore della vita associata"
8
. Il Diaz aveva già osservato, del resto,
che lo sviluppo della riforma comunitativa "mostra le cause occasionali che spesso la
promossero agl'inizi, i tentennamenti e le oscillazioni con cui fu svolta nella sua
graduale estensione ai vari Comuni del granducato"
9
. È possibile distinguere diverse forme di resistenze
incontrate dalla compagine ministeriale leopoldina nell'attuazione della riforma dei
governi locali. Molto diverso appare il caso delle comunità rurali (come Lastra) dove il
sistema tradizionale della rappresentanza era piuttosto semplice e dove l'unico
requisito previsto per essere eletti era la residenza nel comune, e quello, invece,
delle comunità urbane più popolose e economicamente più importanti, dove si era ormai da
lungo tempo consolidato il potere di ristretti gruppi aristocratici o si facevano valere
particolari privilegi per il ceto emergente dei "cittadini". In quest'ultimo caso, è
evidente, come ha asserito il Marrara, che "la pretesa dell'uniformità della disciplina
giuridica doveva scendere a patti con la pratica impossibilità di cancellare con un
colpo di spugna secoli di storia, intessuta di privilegi e di particolarismi spesso
esasperati"
10
.
Storia amministrativa:
Nel caso delle comunità del contado fiorentino (e della Lastra in particolare) fu possibile rispettare una notevole "uniformità normativa" ed una certa "larghezza nel conferimento dei diritti politici"1. Innanzi tutto si procedette all'accorpamento dei "popoli" già appartenuti alla vecchia comunità della Lastra (S. Maria a Lamole, S. Stefano a Calcinala, S. Stefano alle Busche, S. Piero in Selva, S. Martino a Gangalandi) a quelli della più antica Lega di Gangalandi (S. Maria a Pulica, S. Martino a Carcheri, S. Andrea a Castratica, S. Maria a Marliano, S. Donato a Misciano, S. Piero a Nebbiaccoli, S. Bartolomeo a Bracciatica) i quali, tutti riuniti, vennero a "costituire l'intero Territorio della nuova Comunità della Lastra"2. Al governo della Comunità fu preposto un Magistrato, composto di un gonfaloniere e di quattro rappresentanti, ed il Consiglio generale, formato dai "residenti" nel suddetto Magistrato e da tanti deputati quanti erano i "popoli" della Comunità. I componenti la Magistratura e il Consiglio dovevano essere eletti mediante estrazione a sorte da due borse. Nella borsa del Magistrato potevano essere incluse le cedole con i nomi di tutti coloro che possedevano una quantità di beni immobili nel territorio della comunità tale da contribuire all'erario "in proporzione di un fiorino di decima o lira di decimino". In tal modo s'introduceva una disposizione innovativa, perché il diritto a risiedere nel Magistrato veniva del tutto sganciato dall'appartenenza a determinati ordini nobiliari o istituti cavallereschi (come l'Ordine dei cavalieri di S. Stefano) e univocamente ancorato al parametro del censo, secondo il principio che ad amministrare le Comunità dovevano essere chiamati solo coloro che vi avessero interessi effettivi. Conseguentemente si garantiva, per la prima volta, l'accesso dei proprietari non residenti agli organismi di governo locale. Poiché - come è stato notato dal Ravenni - "più della persona del proprietario era la proprietà ad essere rappresentata"3, anche gli enti - sia laicali che ecclesiastici - ottennero di essere "imborsati" e, se estratti, il diritto a delegare un loro rappresentante nel Magistrato comunitativo. Tenendo conto di queste trasformazioni nell'assetto rappresentativo del governo locale e dei risultati emersi dalle indagini in alcune aree campione, si può ritenere col Marrara che se "le antiche oligarchie persero, certamente, il monopolio dei diritti politici", tuttavia "gli ordini nobiliari toscani, lungi dall'essere spogliati della loro rilevanza giuridica e dal dissolversi nella più ampia cerchia dei proprietari fondiari, mantennero ben netta la loro individualità"4. Allo stesso modo, circa il peso politico della piccola proprietà nei Magistrati comunitativi, sembra generalmente condividibile, in mancanza di ulteriori indagini, - quanto è stato verificato dalla Contini per la Val di Nievole: "In realtà gli equilibri già esistenti, l'abitudine alla delega politica a favore dei gruppi dominanti, l'inesperienza in materia di gestione amministrativa, dovettero fare della piccola proprietà un gruppo di appoggio dei tradizionali gruppi di governo locale"5. D'altra parte sembra doveroso mettere in guardia dalle facili generalizzazioni che facendo giustizia dell'ottica "un po' ottimistica e sbrigativa"6 dell'Anzilotti (a cui resta il merito di aver mostrato la direzione ed il senso della riforma comunitativa all'interno del progetto complessivo di riorganizzazione dello Stato toscano, e di aver aperto suggestivi campi d'indagine), non tengano nel dovuto conto la portata ideale e le concrete, seppure parziali, realizzazioni raggiunte dalle riforme leopoldine, la cui incidenza sul tessuto sociale e politico della Toscana andrà misurata mediante studi specifici sul lungo periodo. Appare tuttavia improbabile che si siano verifìcati cambiamenti sostanziali nella rappresentanza politica delle Comunità e nei ceti dirigenti locali negli anni immediatamente seguenti il nuovo ordinamento amministrativo. Ha scritto l'Anzilotti che "il principio di fissare in modo preciso ed inalterabile l'importare delle imposte statali e comunali e la percentuale che dovevano per parte loro pagare contadini, artigiani e operai, introduceva di per se stesso una reale garanzia per tutti gli abitanti della provincia contro l'illimitato arbitrio fiscale"7. Con la riforma, infatti, il Magistrato dei Nove non poteva più esigere la riscossione di imposte comunali straordinarie sotto forma di "chiesto", ma per ogni Comunità veniva determinata una "unica e invariabile" "tassa di redenzione". Questa veniva calcolata sommando le partite di spesa annualmente necessarie per l'amministrazione di un determinato vicariato e ripartendone l'importo tra le singole Comunità8. L'articolo IV del "Regolamento locale per la comunità della Lastra" fissava in scudi duecentoventi di lire sette ciascuno l'importo annuale della tassa di redenzione che essa doveva pagare alla Cassa della Camera delle Comunità, e specificava i titoli di spesa che vi erano compresi. Il carico fiscale doveva essere distribuito annualmente "sopra i Contadini, e Artigiani o Testanti" nella "somma fissa" di centoquaranta scudi e "per ogni rimanente" doveva essere addossata "sopra tutti i Possessori in detta Comunità, niuno eccettuato" (Art. V). Mentre i ceti dirigenti di alcune comunità avanzarono rilievi alle bozze dei nuovi regolamenti, in specie per quanto riguardava il numero e le condizioni necessarie per essere "imborsati" per il Magistrato, nel caso della Lastra non vennero richieste né intervennero modificazioni di sorta nella fase applicativa9. Le uniche differenze fra la minuta e l'originale a stampa riguardano, infatti, modifiche di carattere puramente redazionale, e cioè l'eliminazione degli articoli contenenti norme generali, in un primo tempo riprodotti nel regolamento di ciascuna comunità e successivamente riuniti nel Regolamento generale delle comunità del contado. Nella minuta del regolamento della Lastra non sono neppure riscontra- bili, come nelle altre, interventi del consigliere Francesco Maria Gianni.
La riforma leopoldina dell'amministrazione locale venne a cadere in un momento piuttosto critico per l'economia della nostra Comunità. I provvedimenti di libertà del commerciò del 1767 avevano infatti gettato in uno stato di grave decadenza le due più importanti attività artigianali della zona: la fabbricazione dei cappelli di paglia (bianchi per l'Inghilterra, neri per "diverse parti d'Europa"), e la lavorazione della pietra10. Una testimonianza puntuale di questo declino economico è offerta dalle risposte che nel 1768 i deputati della Comunità, Giovan Domenico Tofanari e Giovan Battista Boretti, avevano dato all'inchiesta sullo stato delle arti e manifatture promossa dal granduca due anni avanti11. Essi facevano notare la notevole diminuzione dei prezzi dei loro prodotti: i cappelli bianchi da 6 o 7 lire l'uno e pezze 25 o 30 la dozzina, erano scesi, rispettivamente, a 7 crazie l'uno e a 1 pezza e un quarto "al più" la dozzina12. Secondo i rappresentanti la Comunità, tal decadenza di prezzo è derivata dall'introduzione delle paglie forestiere che consideriamo una delle principali cagioni sì della diminuzione del prezzo sì dello smercio. Ed in prova di ciò, oltre che questa paglia forestiera estrae non poco danno di Toscana per la viltà del suo costo, impedisce anco l'esito della paglia nostrale. E la predetta paglia forestiera riesce notabilmente inferiore per aver prodotto il grano ed essere allignata sul suolo, e perciò è più imperfetta e macchiata e di cattivo colore, ed i cappelli che sono costrutti di tal sorta di paglia riescano di pessima veduta. Gli effetti negativi delle riforme ispirate al liberismo economico avevano colpito ogni ceto sociale, dai mercanti agli operanti: Tutti i mercanti si sono lagnati fortemente di questa paglia forestiera di modo che è restato notabilmente incagliato il commercio e la detta introduzione ha quasi abolito l'uso delle semente che nei tempi addietro si facevano delle paglie nostrali, con grave danno di tanti operanti che al presente languiscono nelle miserie per essergli mancato tal guadagno, poiché non altrimenti spendesi il danaro come era solito nelle semente delle colline adiacenti, ma bensì mandasi fuori di Stato, e ne profittano le nazioni estere. La momentanea decadenza della manifattura della paglia si era congiunta a una crisi edilizia che aveva ristretto notevolmente le possibilità di lavoro dei braccianti: Passando ora all'arte delli scarpellini, o sia manifattura di pietre, diciamo che questa ancora nei tempi addietro era feconda di smercio ed era di lucro considerabile alla Comunità e suoi abitanti. Ed in effetto, molte erano le cave o siano le fabbriche di pietrami nel poggio detto La Gonfolina13 che in oggi si vedono ridotte a minor numero, quantunque non manchino persone che attendino ad una simile manifattura. Il che da motivo alla minorazione dei prezzi e quanto allo smercio, che si è ridotto assai minore, può dependere dalle minori fabbriche che si vanno facendo, tutto effetto di mancanza di denaro nei cittadini...". Sebbene la popolazione della Comunità fosse aumentata negli ultimi vent'anni, la crisi economica aveva accresciuto il numero dei braccianti e dei miserabili "che si vedono in queste adiacenze", e costretto i "giornalieri" a prendere "quella mercede che gli vien data", pur di non perdere il lavoro. Tutto ciò non poteva che riflettersi negativamente sul governo locale. Consapevole delle difficoltà economiche del basso popolo, il cancelliere della Comunità, Giovanni Lupardi, intraprese un'azione presso gli organi centrali allo scopo di alleviare, per quanto era possibile, il carico fiscale. "Vedendo assai decadere la comunità della Lastra, alla quale scema il lavoro dei cappelli di paglia e delle pietre della Gonfolina", nel 1771 egli ottenne l'abolizione delle spese per la festa del Corpus Domini e per la custodia della "cassetta delli squittini degl'Ufizi della loro Comunità", mentre le incombenze del depositario dei pegni furono aggregate al camerlingato14. Anche da questi tentativi appare confermato che la riforma leopoldina delle amministrazioni locali s'inserì positivamente nella tendenza, vivamente avvertita da alcune di esse, di procedere ad un riordino razionale dei bilanci e a una distribuzione più equa del carico fiscale.
Soggetti produttori collegati:
Comune di Gangalandi - Lastra, Lastra a Signa
(Firenze), sec. XIV - 1774
(predecessore)
Lega di Gangalandi, sec. XIV - 1774
(generico)
Mairie della Lastra, Lastra a Signa (Firenze), 1808
- 1814
(successore)
Complessi archivistici prodotti:
Comunità della Lastra, 1774 -
1808
(fondo, conservato in Comune di Lastra a Signa. Archivio storico)