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Comunità della Lastra a Signa

Sede: Lastra a Signa (Firenze)

Date di esistenza: 1814 - 1865

Intestazioni: Comunità della Lastra a Signa, Lastra a Signa (Firenze), 1814 - 1865

Contesto istituzionale:
Uno dei primi atti del restaurato governo di Ferdinando III di Lorena in Toscana fu l'editto del 27 giugno 1814 che decretava l'abolizione delle "mairies" e il ripristino degli uffici del gonfaloniere, dei "priori" e del Consiglio generale delle Comunità 1 .
Gli interventi napoleonici nel settore delle amministrazioni locali non erano, tuttavia, passati invano. Anche in Toscana, come nella maggior parte degli Stati italiani, "si cercò in effetti di conservare quanto dell'esperienza francese non contrastava con i rinnovati princìpi assolutistici" 2 .
Ciò è particolarmente evidente nelle modificazioni introdotte nell'ordinamento delle comunità con la legge 16 settembre 1816, "ispirate - nota lo Schupfer - da un concetto di ingerenza del potere esecutivo, che anteriormente era rimasto totalmente estranea alla scelta degli amministratori comunali" 3 .
Il limite minimo d'imposta necessaria per essere eletti nel Magistrato comunitativo venne aumentato del doppio, il numero dei "priori" estratti a sorte venne duplicato per permettere al soprassindaco delle Comunità una maggiore libertà di scelta e, soprattutto, fu eliminata del tutto la procedura che designava il gonfaloniere per sorteggio, riservandone la nomina al sovrano, su proposta del senatore soprassindaco.
Si comprende, pertanto, come il gonfaloniere, oltre a svolgere le funzioni di capo della Magistratura, divenisse "più che altro un rappresentante del potere centrale" 4 . Egli era infatti incaricato, tra l'altro, dell'ispezione sull'amministrazione finanziaria del Comune, poteva sospendere le deliberazioni della Magistratura e riferirne al provveditore della Camera di sovrintendenza comunitativa. Possedeva, inoltre, attribuzioni sufficientemente estese di polizia interna.
L'ufficio del gonfaloniere era gratuito, anche se era prevista un'indennità a titolo di spese; durava in carica tre anni ed era riconfermabile. I "priori" rimanevano in carica due anni ed erano rinnovati per metà ogni anno.
La Magistratura (gonfaloniere e priori) costituiva l'organo esecutivo del comune, ed aveva perciò "funzioni assai più estese della nostra Giunta comunale, e non solo per la parte esecutiva ora riservata al sindaco, ma anche perché le spettavano, dopo la riforma del 1816, attribuzioni importanti in materia di bilancio, che oggi sono di competenza del Consiglio" 5 .
Il Consiglio generale, eletto per tratta, si riuniva ordinariamente una volta l'anno per deliberare sugli argomenti fissati dal regolamento e in via straordinaria se richiesto di comune accordo tra il gonfaloniere ed il cancelliere.
Le attribuzioni di quest'ultimo furono progressivamente accresciute fino al punto di riservargli, da parte del governo centrale che lo nominava, una parte cospicua nell'amministrazione del comune e degli istituti comunitativi. Una significativa svolta in questo processo di ampliamento dei poteri di controllo e di "tutela" delle comunità era stata compiuta con le Nuove istruzioni per i cancellieri comunitativi del 16 novembre 1779 che, oltre alle funzioni di "custodi delle leggi e ordini", aveva attribuito loro le qualifiche di "direttori di azienda delle comunità, luoghi pii e patrimoni comunitativi, esecutori degli ordini dei tribunali e magistrati, e dei ministri del governo nella capitale" 6 . Questi vasti poteri furono riaffermati ed ulteriormente estesi con le Istruzioni del 20 gennaio 1817, col motuproprio del 19 febbraio 1820 e col Regolamento del 6 giugno 1829. In particolare, il cancelliere ebbe competenze particolari in materia catastale ed in quella dei lavori pubblici coordinati dagli ingegneri di circondario 7 . Con la legge del 9 marzo 1848 i cancellieri assunsero anche la qualità di "ministri del censo", divenendo veri e propri" organi governativi periferici di amministrazione diretta e insieme di controllo" 8 .La progressiva invadenza del cancelliere nell'amministrazione delle comunità era espressione del più generale indirizzo accentrativo presente nel granducato 9 . In una memoria storico-politica, Leopoldo Galeotti annotava nel 1847: "Polizia, fisco, provveditori, soprintendente, corpo degli ingegneri, gravitano ad un tempo sulle comunità, che poi nel giusdicente, nel cancelliere, nell'ingegnere hanno tre tutori perpetui che rendono impossibile alle medesime ogni libero movimento" 10 .
Una prima sostanziale riforma dell'ordinamento delle comunità venne effettuata dopo la concessione dello Statuto e nel quadro di "un modello di stato burocratico-amministrativo di influenza francese nel quale scomparvero gran parte delle caratteristiche proprie della Toscana settecentesca" 11 , (decreto del 20 novembre 1849 12 ). L'applicazione del nuovo regolamento - che concedeva in linea di diritto "una larga autonomia alle amministrazioni comunali" 13 - non contribuì tuttavia a migliorare le loro cattive condizioni economiche. Per giunta venne modificato solo dopo quattro anni, il 28 settembre 1853 14 . Con l'avvento del secondo Governo provvisorio della Toscana nel 1859 fu emanato un nuovo testo legislativo che si rifaceva strettamente a quello del 1849 e che rimase in vigore fino al 1865 15 .


Storia amministrativa:
L'assetto territoriale della comunità della Lastra fissato da Pietro Leopoldo nel 1774 venne modificato nel 1833 con il distacco del "popolo" di S. Stefano alle Busche (Poggio alla Malva) incluso nella comunità di Carmignano e con l'incorporo dei "popoli" di Castagnolo, S. Ilario e S. Romolo a Settimo, prima appartenuti alla comunità di Casellina e Torri. La comunità di Lastra a Signa assunse così la configurazione territoriale che sarà recepita dal comune postunitario, con una superficie di 12581 quadrati (cioè Km2 42,85), dei quali 530 occupati da corsi d'acqua e da strade 1 .
Nel 1833 la popolazione raggiunse gli 8023 abitanti, con un accrescimento del 41,5% rispetto al 1810. Questo vistoso aumento demografico fu solo in minima parte effetto dell'ampliamento della circoscrizione amministrativa. Esso va certamente posto in relazione alla forte ripresa della manifattura dei cappelli di paglia dopo il 1810.
La "Relazione" della Commissione d'inchiesta ministeriale del 1896 sulle Condizioni dell'industria delle trecce e dei cappelli di paglia nella provincia di Firenze, fornisce un quadro particolarmente ricco della storia del commercio e delle tecniche di lavorazione che si svilupparono nella zona delle Signe lungo la prima metà del XIX secolo.

Nei principi di questo secolo Giuseppe Carbonai, livornese, venne a stabilirsi a Signa e perfezionò i cappelli a larga falda chiamati fioretti, che acquistarono molto credito in Francia e Germania. Aumentate le richieste, aumentò la lavorazione che si estese dai Comuni di Signa e Brezzi a quelli di Sesto, Campi, Carmignano e Prato; e in quel periodo di tempo, intorno al 1818, si stimò che oltre a 40.000 persone si dedicassero a quest'arte colla certezza di un guadagno giornaliero dai due ai tre paoli cioè L. 1.12 a L. 1.68.
Il centro principale del commercio dei cappelli fiorentini era allora Lipsia, e tanto aumentò la richiesta all'estero che in breve alla lavorazione si dedicarono oltre a 60.000 persone ed il guadagno medio salì a L. 2.25, cioè a 4 paoli al giorno. La prosperità dell'industria si mantenne fino al 1822, anno in cui la manifattura dei cappelli formò soggetto di commercio non più ristretto all'Europa; ma varcati i mari fu grande l'importazione nel Nuovo Mondo specialmente a New York.
La produzione dei cappelli si estese quindi ai Comuni di Empoli, Fucecchio, Castelfranco di Sotto fino a raggiungere il numero di 80.000 persone addette a questa industria "di modo che un gran numero di uomini, abbandonata ogni consueta occupazione, si diedero a far la treccia, come quella che dava loro più che il doppio dell'usitato mestiere", poiché in quel tempo la mano d'opera era pagata dalle due alle otto lire il giorno in ragione della destrezza del lavorante.
Nel 1826 può dirsi che il cappello fioretto toccasse il suo apogeo; d'allora in poi l'industria andò declinando. L'Inghilterra, dove la nostra paglia era importata, diè mano con essa alla fabbricazione di certi cappelli che incontrarono grandemente il gusto della nazione: il perché vennero a cessare del tutto le commissioni dei cappelli nostri. Gli uomini lasciarono di far la treccia, i negozianti secondari andarono presto in rovina, ed i migliori lavoranti emigrarono in Francia, Germania ed America.
Dopo le vicende del 1826 tutti credevano l'arte caduta in modo da non vederla mai più risorgere, e lo sgomento che allora si manifestò fece temere funeste conseguenze. Riprese invece nuova vita per il nuovo genere di lavoro, introdotto da negozianti forestieri, della treccia in 11 fili. Con questa si uniscono le trecce soprammettendo un giro all'altro e si formavano cappelli ricercatissimi all'estero. In questo nuovo lavoro a cui si dedicarono i lavoranti in numero maggiore di prima, trascorsero sei anni, dal 1827 al 1832. Verso il 1839 ritornò la moda dei cappelli fioretto, ma dal 1832 al 1836 fu un periodo di condizioni poco favorevoli.
Nel 1840 incomincia la lavorazione delle trecce a telaio con paglia mista al crino ed alla seta all'uso di Svizzera, e di questa nuova industria si fece centro Fiesole. In questo periodo di tempo incominciò l'uso dei pedali della paglia di grano marzuolo per fare cappelli e trecce, mentre prima si facevano esclusivamente di punta. Altra innovazione dell'industria fu l'eseguire i cappelli a imbuto detti cappotte formati di trecce in 13 fili, conosciuti col nome usuale di "cappello di paglia di Firenze", in Inghilterra più distinto col nome di "Leghorn", perché in principio era a Livorno che facevasi il carico di questi cappelli. L'infanzia di questa industria contraddistinta specialmente col tipo delle "Cappotte" è stato il periodo più rimunerativo per le lavoranti trecciaiole.
Queste cappotte non avevano veramente la forma di cappelli; ma erano specie di alte guglie in forma di cono tronco. Una donna lavorava anche qualche mese per farne una. Il loro valore era ben alto e si vendevano allora queste cappotte fino a 500 e 600 lire toscane, e se si considera il rapporto del denaro da quel tempo ad oggi, è dimostrato che allora fare la treccia era quasi una professione scelta, perché una donna brava poteva guadagnare presso a poco quanto un professionista.
È bensì vero che allora il numero di tali lavoranti era assai limitato, e fatto da persone adulte, esclusi i ragazzi; molto tenevasi in considerazione il pregio del bello, poiché l'articolo prodotto andava in uso senza alcuna modificazione, sia di colore, come di pressatura.
Da queste cappotte, che le modiste tagliavano come stoffa per comporne cappellini per signore, l'arte si volse al cappello per uomo. Si fecero per un certo periodo di anni, certi cappelli chiamati "Bastardelli", scempi e doppi di ala. Questi cappelli aprirono la vera esportazione dell'articolo e mentre costavano molto cari, formarono la fortuna di certe Case, di cui nel seguito, alcune subirono tutte le peripezie della parabola ascendente e discendente di quest'arte. Anche questi cappelli si mandavano via con poca, o punta manifattura; senza alcuna alterazione di colore, rotondi di forma, piani di ala, e flosci si portavano sulla testa per fare la moda della paglia di Firenze, senza riguardo alla forma, come pochi anni sono si faceva la moda del cappello di Giava portandolo naturale senza alcuna formatura, soltanto per far la moda di tal materia. Erano poche allora le Case che esportavano i cappelli, mentre se ne faceva la vendita in Livorno per una eventuale esportazione di navigazione. Fu verso il 1864 al 1865, che furono usate le prime presse per formare il cappello e da quel momento l'industria entrò in una nuova fase. Infatti la facilità di mettere alla forma i cappelli, e di poterli adattare a qualunque foggia ne dettasse la moda, contribuì a sviluppare straordinariamente l'industria, moltiplicando annualmente la produzione" 2 .