Sede: Volterra (Pisa)
Date di esistenza: sec. XVI - 1785Intestazioni: Monastero di S. Dalmazio di Volterra, Volterra (Pisa), sec. XVI - 1785
Storia amministrativa:
[Il monastero di S. Dalmazio fu
fondato, nella prima metà del XII secolo, a S. Dalmazio (Pomarance). Il 21 marzo
1146, con bolla diretta alla badessa Bigailla o Brigailla, papa Eugenio III lo
approvò e lo sottopose alla regola di S. Benedetto, concedendo alle monache facoltà
di tenere beni stabili ed ecclesiastica sepoltura nelle proprie chiese. Il 20
luglio 1220 il vescovo di Volterra, mons. Pagano Pannocchieschi, in qualità di
arbitro nella controversia tra la badessa Bigailla e il comune di S. Dalmazio,
dichiarò, tra l'altro, con suo lodo, che la badessa, con licenza vescovile, aveva
autorità di eleggere consoli e rettori, mandare bandi e revocarli, che gli abitanti
di S. Dalmazio dovevano frangere le olive nel frantoio del monastero e che il pieno
dominio delle fonti, acquedotti e vie spettava al monastero. Il 26 febbraio
1298 Guercione, sindaco e procuratore della badessa Preziosa Gruffreda, avendo
constatato che ella non era più in grado di farsi ubbidire dagli abitanti del
castello di S. Dalmazio né di riscuotere le entrate e i censi da essi dovuti,
vendette a Sasso di Galgano, cittadino volterrano e priore della comunità di
Volterra, la metà della giurisdizione del castello di S. Dalmazio. Nel 1438 un
incendio distrusse quasi totalmente il monastero e la chiesa, compresi vari mobili,
numerosi manoscritti e molti documenti dell'archivio; per favorirne la
ricostruzione, papa Eugenio IV concesse, il 23 luglio 1440, tre anni e tre
quarantene di indulgenza e cento giorni di remissione a tutti coloro che avessero
contribuito, con la propria elemosina, alla loro restaurazione. Il 28 giugno
1460, con lodo di Benedetto di Antonio di Pasquino Broccardi, arbitro nell'ennesima
controversia tra il monastero, rappresentato dal procuratore Matteo di Giannello, da
una parte, e il comune di S. Dalmazio, dall'altra, furono regolamentati l'elezione
del camarlingo e dei consiglieri del comune, ma anche gli affitti dei beni del
monastero. L'elezione del camarlingo doveva avvenire in questo modo: la badessa
imborsava sei nomi, scegliendoli tra i dieci che il comune le aveva comunicato, e
ogni sei mesi ne estraeva a sorte uno. Per quanto riguarda, invece, l'elezione dei
consiglieri, la badessa imborsava dodici nominativi e ogni sei mesi ne estraeva a
sorte due. Circa gli affitti, il lodo stabilì che gli abitanti del comune di S.
Dalmazio, che avevano in affitto i beni del monastero, potevano darli in dote alle
loro figlie, le quali dovevano, però, continuare a pagare il canone livellare; fu
anche stabilito che sui terreni presi in affitto, gli affittuari potevano costruire
nuovi edifici o effettuare miglioramenti senza aumento del canone, che negli affitti
i discendenti maschi potevano succedere fino al quinto grado, mentre le femmine fino
al terzo, che ad ogni successione nell'affitto si doveva pagare al monastero il 5%
della stima del bene affittato e, infine, che gli abitanti del comune di S.
Dalmazio, che avevano in affitto beni del monastero, decadevano dall'affitto se
andavano ad abitare in altri comuni, dimorandovi per più di un anno. I due
citati lodi del 1220 e del 1460 furono confermati l'11 giugno 1511 con una
transazione tra le monache e il comune di S. Dalmazio, nella quale fu, in più,
stabilito che, in caso di successione nell'affitto, dovevano pagare solo i
discendenti di terzo, quarto e quinto grado, che i Cartolari dovevano essere
rinnovati ogni 25 anni, che le monache dovevano festeggiare S. Benedetto e S.
Dalmazio nella chiesa del castello di S. Dalmazio, che nell'acquedotto e botro delle
monache non si poteva pescare senza loro licenza, che gli affitti dovevano essere
riscossi dal fattore nella casa delle monache, situata vicino alla chiesa, fuori del
castello di S. Dalmazio, che le borse per l'elezione del camarlingo e dei
consiglieri dovevano essere tenute presso il monastero. Ulteriore conferma dei
due lodi del 1220 e 1460 si ebbe il 18 febbraio 1573 in occasione di un'altra
transazione tra le monache e il comune di S. Dalmazio, con la quale fu stabilito
anche che le monache dovevano macinare il grano al mulino del comune di S. Dalmazio
e che gli abitanti di S. Dalmazio dovevano in perpetuo fare l'olio presso il
frantoio delle monache, lasciare un boccale d'olio alle monache, ogni 27 prodotti,
far rifrangere la sansa entro otto giorni e lasciare la metà dell'olio, ricavato da
essa, e la sansa stessa alle monache. Il 28 luglio 1472 il comune di S.
Dalmazio, insieme agli altri comuni della Val di Cecina, passò definitivamente sotto
Firenze. In questo stesso giorno la repubblica fiorentina, con apposita
deliberazione, concesse al monastero 12 staia di sale all'anno e la completa
esenzione da qualunque imposizione e aggravio. Ai primi del sec. XVI le monache
chiesero di potersi trasferirsi a Volterra. Il comune concesse loro il permesso con
deliberazione consiliare del 23 luglio 1511 e anche il vescovo Giuliano Soderini
dette la sua approvazione con decreto del 30 luglio 1511. Per favorire tale
trasferimento il comune deliberò la donazione alle monache di un terreno dentro la
Porta S. Francesco e l'erogazione di un contributo finanziario di lire 13.650.
Per la fabbrica e difesa del monastero furono eletti, dal consiglio comunale,
quattro deputati, Giovanni di Salvatico Guidi, Antonio di Michele Riccobaldi,
Agostino di Persio Falconcini e Benedetto di Giovanni Incontri; le spese pertinenti
alla "muraglia" furono annotate in due appositi registri, uno, iniziato nel febbraio
1514 e proseguito fino al dicembre 1518, conservato presso l'Archivio Storico
Comunale Preunitario di Volterra, e l'altro, iniziato nel 1519 e terminato nel 1524,
conservato presso l'archivio del Conservatorio di San Lino in S. Pietro. Il
nucleo originario del monastero sorse tra l'attuale via S. Lino e via Borgonuovo,
dall'adattamento e trasformazione di stabili, qui esistenti, appositamente
acquisiti. La prima ad essere comprata, nel marzo 1514, fu la casa di Lucia, moglie
di Mariotto di Mico, e di suo figlio Mico, al prezzo di 4.800 lire. Successivamente
si procedette all'acquisto di altri due immobili, ad essa confinanti: un casalino,
posto davanti alle scale di S. Francesco, comprato nel marzo 1514 dai monaci di S.
Andrea al prezzo di 770 lire, e una casa di proprietà di Lorenzo Costarella e
Taviano di Benedetto Sodo, acquistata, al prezzo di lire 581, nel luglio 1516. Altre
due case, poste dirimpetto l'una all'altra in Borgonuovo, furono vendute da Lena di
Goro, moglie di Piero, cornamusino, una, con contratto rogato il 13 novembre 1515,
al prezzo di 190 lire, e l'altra, nel 1516, al prezzo di 77 lire. Nel dicembre
1516 iniziarono i lavori alla casa acquistata da Lorenzo Costarella, nella quale
furono ricavati un dormitorio e una chiesetta; la casa già di proprietà di Lena di
Goro fu adibita, invece, ad abitazione del vetturale e del confessore. I lavori
agli stabili sopra ricordati non erano ancora ultimati quando le monache vi si
trasferirono. Negli anni seguenti l'impegno delle monache fu rivolto
all'ampliamento della struttura. Nello spazio di terreno libero verso via Borgonuovo
venne edificata la chiesa esterna, cioè aperta al pubblico, mentre, prospicienti le
mura medioevali, sorsero il chiostro e il dormitorio. I lavori alla chiesa,
iniziati nell'aprile 1526, procedettero con una certa lentezza: l'esecuzione della
facciata fu affidata al maestro scalpellino Giovanni da Volterra nel giugno 1537. La
chiesa fu consacrata il 3 ottobre 1547 da mons. Cherubino Scarpelli; successivamente
la badessa suor Benedetta Incontri commissionò al pittore Giovanni Paolo Rossetti la
pala dell'altare, rappresentante la Deposizione dalla Croce, che fu ultimata prima
del 16 gennaio 1557, giorno in cui il pittore ricevette lire 138 e soldi 15 "quali
denari sono per ogni resto che io havessi avere dalloro (sic) della tavola da me
fatta nella loro chiesa". I lavori al chiostro sono attestati intorno alla metà
del Cinquecento; la cisterna, al centro del chiostro, fu costruita nel 1575. A
quest'epoca il monastero trovò la sua completa realizzazione. Nonostante il
trasferimento a Volterra, le benedettine continuarono ad amministrare le proprietà
che avevano nella zona compresa tra Pomarance, Castelnuovo V.C. e S. Dalmazio, la
cui consistenza è fedelmente riportata nei Cartolari del monastero, conservati
nell'Archivio Storico Comunale Preunitario di Volterra. Tali registri, proprio
perché contenenti la descrizione di case e terre poste a S. Dalmazio e dintorni,
affittate agli uomini del castello di S. Dalmazio, venivano redatti, ogni 25 anni,
da un notaio "nelle stanze del monastero vecchio delle reverende madri di S.
Dalmazio posto fuori del castello di S. Dalmazio". Fra i beni di proprietà del
monastero ubicati nel pomarancino ricordiamo i poderi di Stilano, Stincano, Mona,
Calcinaia, Roccaie, S. Maria, S. Apollinare, Casa d'Ugo, Quercia Riccia, Panazzi,
Sant'Ippolito e l'Orto di S. Dalmazio. Le monache rimasero proprietarie anche
della chiesa del castello di S. Dalmazio, poi eretta in parrocchia il 10 aprile 1614
dal vescovo Luca Alamanni. Il monastero aveva molti possedimenti anche nel
volterrano: il podere di Marciano, comprato il 10 novembre 1526 da Pietro Brandini,
il podere di Montese, il podere di S. Biagio, una possessione a S. Margherita,
venduta ai Ricciarelli il 28 maggio 1568, vigne a Cerreto, al Rosso e al Ragone,
terre a Montornese, vendute a Pier Francesco e Giovanni figli di Giusto Gotti nel
1565, un'altra possessione a Marciano, acquistata nel 1644 da Ottaviano di Lorenzo
Luchini, un mulino in Era. Le benedettine possedevano beni anche a Montecatini e a
Gello. Nel 1534 il patrimonio delle monache si accrebbe ulteriormente. In
questo anno, infatti, Paolo III, in seguito alla rinuncia fatta, davanti al vicario
generale del vescovo di Volterra, dall'ultimo rettore Lodovico Berardi, unì in
perpetuo al monastero di S. Dalmazio la cappella del Pezzato, posta nella chiesa
suburbana di S. Tommaso, assegnando al monastero le sue entrate. Questa chiesa
disponeva di un ricco patrimonio costituito da un podere a Pulicciano, con più pezzi
di terra denominati alla Fonte, alla Pezzuola, alla Costa, Poggio Cadolingo, Ruote,
una vigna alle Lame, una vigna disfatta alla Ripa ed altri appezzamenti di terra a
Corbano, all'Arpino, alle Franoie e a Remaldincha. Non pare che in questo
monastero si vivesse nel XVI sec. una vita strettamente claustrale; per questo mons.
Giovan Battista Castelli, nella sua visita compiuta il 12 luglio 1576, richiamò
severamente in vigore le costituzioni date dai vescovi di Volterra. Allora erano
presenti in monastero 92 monache, sebbene l'edificio ne potesse ospitare, al
massimo, 60. Nei sec. XVII e XVIII la vita all'interno del monastero si svolse,
invece, nel segreto della clausura, fra il lavoro, la preghiera, l'osservanza della
regola. Oltre ai lavori di tessitura, filatura e cucitura, le monache si dedicavano
all'educazione delle fanciulle, di età compresa tra i 7 e i 25 anni, a cui
insegnavano le virtù cristiane, ma anche a leggere, scrivere e cucire. Le educande
abitavano in un luogo a parte del monastero, distinto e separato da quello delle
religiose, vestivano modestamente ed erano tenute ad osservare le leggi della
clausura e del parlatorio. Nel 1782 il granduca Pietro Leopoldo, svolgendo il
suo piano di politica religiosa, pensò di unire il monastero di S. Dalmazio a quello
di S. Marco in S. Pietro, ma incontrò l'opposizione del vescovo di Volterra. La
soppressione del monastero fu, per il momento, rimandata. Fu, poi, con il
motuproprio granducale del 21 marzo 1785 che il monastero venne soppresso e
trasformato in Conservatorio con facoltà di tenere ragazze in educandato.
L'anno successivo, il granduca, ritenendo che tre Conservatori in Volterra fossero
troppi, decise di sopprimere quello di S. Dalmazio. La soppressione fu stabilita con
motuproprio granducale del 24 agosto 1786: un terzo del suo patrimonio fu assegnato
al Conservatorio di S. Lino e due terzi a quello di S. Marco in S. Pietro. Al
momento della soppressione si trovavano in S. Dalmazio 27 religiose, che avrebbero
dovuto distribuirsi un terzo nel Conservatorio di S. Lino e due terzi in quello di
S. Marco in S. Pietro; in realtà soltanto 5 scelsero S. Marco in S. Pietro, mentre
le restanti preferirono S. Lino; il Conservatorio di S. Marco in S. Pietro continuò,
comunque, in base agli accordi stipulati al momento della soppressione di S.
Dalmazio, a pagare la pensione annua alle 13 monache che, invece di trasferirsi in
S. Pietro, passarono a S. Lino. La fabbrica del soppresso Conservatorio di S.
Dalmazio, con l'orto, la casa del fattore, le vetrate superiori e inferiori del
cortile e terrazzo, esclusa la chiesa e la stanza detta del gratino, furono venduti
a Bartolomeo Castrati con contratto del 24 giugno 1789; successivamente l'immobile,
compresa anche la chiesa, fu acquistato da Marcello Inghirami Fei che, nel 1791, vi
aprì la sua scuola laboratorio di lavorazioni in alabastro (da
SIUSA)]
Complessi archivistici prodotti:
Libri di monasteri soppressi, 1261 -
1807
(fondo, conservato in Comune di Volterra. Archivio storico)