Livello: serie
Estremi cronologici: sec. XIXConsistenza: 6 unità
La rilevazioni dei beni immobili nel territorio periferico lucchese,
durante il periodo della Repubblica, avvenivano attraverso gli «estimi», dei quali
precedentemente abbiamo dato notizia.
Tale situazione permetteva una serie di
rilievi che, pur nella loro particolarità, non potevano offrire una configurazione
uniforme, dipendendo la compilazione delle registrazioni direttamente
dall'iniziativa delle singole Comunità delle Vicarie.
La definizione del bene
immobile assumeva peculiare risalto poiché da essa dipendeva l'ammontare
dell'imposizione fiscale che, in epoca repubblicana, gravava per due terzi
sull'estimo e per un terzo sulle «teste».
In periodo napoleonico si volle
introdurre un criterio più generale ed uniforme che potesse valere anche dal punto
di vista applicativo ed organizzativo su tutto il territorio: con decreto del 15
gennaio 1802 si abolirono tutte le varie forme precedentemente esistenti di
imposizione fiscale e si preannuncio una nuova «imposizione territoriale». Un
successivo decreto del 29 aprile 1802 introdusse il concetto di Catasto Generale ai
fini dell'istituzione stessa di una Tassa Prediale.
La riforma divenne
immediatamente operativa e ad ogni Comune furono assegnati tre o più Periti,
affinché conducessero le fasi di stima e presentassero le loro risoluzioni entro il
termine di due mesi dall'incarico. La materia fu affrontata, per le formulazioni di
carattere tecnico, con tre ulteriori decreti rispettivamente in data 3 e 9 luglio,
13 agosto 1802.
I beni ecclesiastici furono parimenti presi in considerazione
con un apposito decreto in data 29 aprile 1802, confermato da un Breve pontificio di
Pio VII, con il quale, in data 25 agosto 1802, si sottoposero tutti i beni
ecclesiastici alla Tassa Prediale per il periodo di dieci anni. Un successivo Breve
Pontificio, del 18 settembre 1803, sottomise all'imposizione territoriale anche i
beni delle Opere Pie.
Nonostante la legislazione fosse piuttosto specifica e
precisa, le operazioni di determinazione delle entità patrimoniali furono condotte
in modo incompleto, limitandosi il lavoro alla situazione di individuazione delle
proprietà.
Durante il principato napoleonico, con decreto del 22 agosto 1805,
si abolirono le Commissioni del Catasto, volendosi introdurre un sistema più
funzionale, poiché si riteneva che la Tassa Prediale non fosse idonea, così come era
strutturata, a coprire le necessità finanziarie dello Stato.
Una nuova
normazione fu introdotta con il decreto del 16 novembre 1807 che prevedeva una nuova
«Commissione per formare il nuovo Catasto». Tale Commissione avrebbe dovuto svolgere
la propria attività nel rispetto delle norme decise con decreto dell'11 giugno 1807,
con il quale, tra le altre disposizioni, si stabilì che «Ogni Proprietario è
obbligato a fare alla Comune nella quale possiede una dichiarazione dei prodotti in
natura dei suoi beni, e di sottoscrivere una dichiarazione sopra i modelli che gli
saranno rimessi nel termine di un mese» (art. 1) e che «Ciascun Proprietario che è
possessore della pianta de' suoi terreni, e che tiene il registro delle sue rendite
è obbligato a presentare l'una e l'altro a una Commissione del rispettivo Consiglio
Municipale, unitamente alle variazioni, che abbiano subito i terreni medesimi fino
al giorno in cui si esibiscono tali piante e registri» (art. 2).
II decreto del
23 febbraio 1810 dette vita ad una nuova normazione che, tuttavia, non ebbe concreta
attuazione: solamente durante il periodo borbonico si raggiunsero concrete finalità
relativamente a questa materia.
In particolare, durante il ducato di Carlo
Lodovico, la disciplina catastale fu oggetto di serie attenzioni e di concrete
attuazioni. Tra i molti decreti emessi, ricordiamo quello che porta la data dell'11
gennaio 1838, concernente il metodo per la pubblica esposizione delle operazioni
della riforma catastale. In fase di regolamentazione fu stabilito che le singole
operazioni dovessero avere per oggetto «di far conoscere ai possidenti: 1) la misura
e la stima dei singoli appezzamenti della proprietà; 2) i reparti delle quote
censuarie fra i Direttari e Livellari; 3) le particolarità che sono state avvertite
dai Geometri e dagli Stimatori, e che avranno servito di norma per valutare
l'ammontare di ciascheduna quota censuaría e per ripartire fra i condomini a seconda
dei casi», (art. 1).
Fu stabilito, inoltre, che ogni proprietario avrebbe avuto
il diritto di conoscere «la figura in pianta, la posizione e la quantità
superficiale di ogni suo appezzamento», i nominativi dei confinanti con il suo
fondo, le qualità o le colture dell'appezzamento, «le gravezze particolari, le
servitù, i canoni, le pensioni vitalizie attribuite, «la stima censuaría netta,
tanto dei fondi rustici quanto degli edifici», secondo le nuove valutazioni
catastali, la «stima censuaria netta degli appezzamenti di qualità simile al suo,
appartenenti ad altri proprietari, situati nella stessa Sezione» (art. 3).
Come
può notarsi, la materia fu affrontata con molta precisione e tale metodo permise una
prima organica e puntuale stesura sia di mappe, sia di bozze catastali, secondo
schemi che successivamente furono rispettati in fase di riforma catastale, secondo
il procedimento introdotto dopo l'Unità Italiana.