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Comunità di Raggiolo

Sede: Ortignano Raggiolo (Arezzo)

Date di esistenza: 1572 - 1776

Intestazioni: Comunità di Raggiolo, Ortignano Raggiolo (Arezzo), 1572 - 1776

Storia amministrativa:

Il castello di Raggiolo 1, appartenuto agli Ubertini di Chitignano, nel 1325 fu tolto a quella famiglia dal vescovo di Arezzo Guido Tarlati, da lui passò al fratello Pier Saccone, che nel 1347 si sottomise in accomandigia a Firenze.

Pier Saccone e il figlio Marco Tarlati si allearono poi con i Visconti e dalla pace di Sarzana nel 1353 riebbero i loro beni, tra cui Raggiolo; ma la politica aggressiva di Marco contro il conte di Poppi fece sì che questi nel 1356 ponesse sotto assedio il castello, assedio tolto poi per intervento di Firenze.

Ma, una volta liberati, gli abitanti non vollero più tornare sotto il vecchio signore, che nel frattempo stava trattando con Firenze e si offrirono al comune fiorentino. Nei Capitoli del comune di Firenze si ritrovano, così, due atti separati: quello di donazione della famiglia Tarlati e quello di sottomissione degli abitanti di Raggiolo.

Il 29 aprile 1357 2 gli uomini del castello, riuniti in parlamento, elessero dei sindaci per fare atto di sottomissione e l'8 maggio Marco Tarlati nel cassero di Bibbiena elesse procuratore per sé e i fratelli ser "Piero de Nicholai de Vicchiis", per consegnare "inter vivos" al comune di Firenze "il castello di Raggiuolo col cassero e rocca, con la corte, curia, territorio e distretto, pascoli, selva, fabbriche, mulini, boschi e prati che sono nelle parti del Casentino presso il territorio di Garliani e le corti Castri Lori, Trappole, Civitella Secca, Giogatoi, Ortignani, Fronzole e Cuote e tutti i diritti reali e personali, mero e misto imperio con qualunque altro diritto che a loro spetta" 3.

Tre giorni dopo, nel palagio dei Priori, il procuratore dei Tarlati, alla presenza del Podestà di Firenze e dei suoi giudici, donò il castello 4, mentre l'atto di sottomissione degli abitanti avvenne il 20 maggio davanti ai Priori delle Arti e al Gonfaloniere di giustizia 5, a cui fece seguito la stipulazione dei Capitoli 6.

Dopo aver salvaguardato nel I capitolo le proprietà di Marco Tarlati e i diritti della contessa Altavilla, figlia di Federico da Mutiliana e di un cittadino fiorentino, la Signoria fiorentina deliberò che quel castello fosse in perpetuo del contado e distretto fiorentino ed esente da ogni genere "servitutis, fidelitatis, ascritionis seu obmagi cuiuscumque" 7 e che gli uomini fossero considerati come "veri originari popolari contadini e distrettuali" di Firenze 8. Esentò il comune per otto anni da "ogni dazio, gabelle, imposta, prestanza etc.; salvo delle gabelle delle porte di Firenze (...) e salvo di fare eserciti e cavalcate, e salvo l'offrire ogni anno per la festa di San Giovanbatista (...) un palio di seta del valore almeno di cinque fiorini d'oro" 9.

Riconobbe alla comunità il diritto a fare statuti da rinnovarsi ogni tre anni, dietro approvazione dei Priori delle Arti 10 e deliberò che il podestà della Montagna fiorentina dovesse anche chiamarsi "Potestas Raggiuoli" e rendere giustizia personalmente o tramite un suo vicario secondo i suddetti statuti nel civile e nel criminale, assegnandogli un notaio e due famigli armati per Raggiolo e la Valle fiorentina con centocinquanta lire di salario da pagarsi dalle due comunità 11.

La Signoria ordinava che il notaio dovesse risiedere nel castello di Raggiolo e da qui andare una o più volte la settimana a rendere giustizia a Ortignano. La comunità doveva pagare inoltre altre centocinquanta lire per il mantenimento della rocca. Inedita la concessione che viene fatta al capitolo 9 "che niun magnate della città, contado e distretto fiorentino o di qualunque luogo possa comprare o sotto qualunque titolo acquistare terreni nel castello o corte di Raggiolo pena la nullità dell'atto" 12. Infine ai ghibellini veniva concessa la possibilità, se andavano a giurare davanti ai Priori delle Arti e al Gonfaloniere di giustizia fedeltà alla parte guelfa, di essere considerati e trattati come veri guelfi 13.

Scadute nel 1365 14 l'esenzione degli otto anni, la comunità ottenne di non pagare più le centocinquanta lire per la rocca e nel 1381 15 i suoi ambasciatori si accordarono con i Regolatori dell'entrata e dell'uscita del Comune di Firenze per sostituire tutte le gabelle, dazi, imposte con un'unica tassa di centottanta lire l'anno che doveva inglobare le imposte ordinarie e straordinarie sull'estimo 16, le gabelle del macello, del vino al minuto e quella dei cogni del vino. Rimaneva l'obbligo per la comunità di pagare il salario del podestà, le gabelle dei contratti e delle porte di Firenze, di offrire il palio per San Giovanni e di fare "eserciti e cavalcate".

Questo accordo approvato dai Priori delle Arti, fu poi rinnovato per altri cinque anni nel 1387. Anche Raggiolo, come Ortignano, si ritrova a far parte dal 1452 del camerlingato del Casentino e quindi era il camerlingo di Bibbiena che riscuoteva questa tassa di centottanta lire l'anno, che doveva essere versata poi al Monte di Firenze 17.

Per Raggiolo 18 non ci sono arrivati statuti e riforme prima del 1465, quando furono eletti tre riformatori per riformare i "vetera statuta" 19, questa prima riforma, come quelle successive 20, riguardava quasi esclusivamente i problemi legati al bestiame, al legname, al danno dato, alle terre comuni; sono riforme frammentarie, composte da poche carte, che solo occasionalmente, secondo le necessità del momento, trattano anche dell'elezione ora di uno ora di un altro degli uffici del comune.

Da queste riforme emerge, in ogni modo, la struttura amministrativa di questa comunità, formata essenzialmente da sei consiglieri affiancati a volte da dodici aggiunti, oppure da un consiglio formato da un uomo per casa.

Nella prima metà del Cinquecento gli statuti e le riforme si fanno più frequenti e ampi, ma solo due: uno del 1548 21 e l'altro del 1550 22 affrontano in maniera più articolata la struttura delle magistrature comunali e il problema della formazione delle borse e della procedura per gli squittini. La riforma del 1548 prevedeva nove uomini al governo della comunità, eletti per tratta da una borsa, valida per tre anni, in cui dovevano essere imborsati i nomi degli uomini del comune, uno per casa, d'età superiore ai venti anni 23; mentre la riforma del 1550 stabiliva lo squittinio ogni cinque anni con l'imborsazione dei nomi di cinque uomini per casa, e riportava a sei il numero dei consiglieri 24. Dalla seconda metà del Cinquecento in poi i consiglieri si trovano spesso affiancati da un consiglio grande, formato da tutti capifamiglia.

I riformatori del 1550 deliberarono, inoltre, che vi doveva essere una borsa grande in cui andavano messe "borselline" più piccole, una per ogni ufficio. Questa borsa doveva essere tenuta in una cassa apposita insieme alle scritture della comunità 25.

I sei governatori dovevano eleggere tutti gli altri ufficiali della comunità: il camerlingo, il campaio, due stimatori, il sindaco del vicariato, il messo del comune, il cancelliere. L'ufficio del camerlingo era messo all'incanto 26, il campaio 27 e i due stimatori 28 erano eletti direttamente dai sei rappresentanti, mentre le funzioni di cancelliere furono svolte fino al 1538 dal cavaliere del podestà, quando nella riforma di quell'anno si decise la nomina di un notaio da parte della comunità 29

Al sindaco del vicario era attribuita una particolare importanza, a lui "è dato in custodia il nostro comune, perché sotto li occhi di quello dormono vedove, poveri e pupilli et acciò sia bene e senza frode governato et che al detto governo sieno uomini pratichi et discreti" 30; nella riforma del 1538 si deliberò che i consiglieri facessero gli squittini per il sindaco e i nomi squittinati fossero poi portati al vicario di Poppi che li doveva imborsare nella borsa e borsellino appositi 31. Al messo del comune era affidata la responsabilità delle scritture, che doveva custodire affinché non fossero "guaste" 32.

Nel 1538 33 la comunità si dovette difendere, come quella di Ortignano, dagli uomini di Castel San Niccolò, che pretendevano di far partecipare Raggiolo alle proprie spese comunali "con dire voi godere i nostri statuti et avere ad concorrere" 34, ma richiamandosi all'atto di sottomissione di due secoli prima i rappresentanti della comunità e il consiglio dichiaravano che ciò era falso "perché li uomini di Raggiolo vennero innanzi a divozione et sudditi dei fiorentini che quelli di Castel San Niccolò, come si può vedere alle riformagioni della città di Firenze e furono poi messi per membro della podesteria della Montagna fiorentina et non per uomini di quelli col peso di avere ad concorrer solamente al pagar certa rata del salario del podestà di detto luogo e non altro" 35. Posizione che ebbe l'approvazione dei Cinque conservatori 36.


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