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Comune di Piteglio

Sede: Piteglio (Pistoia)

Date di esistenza: sec. XIII - 1775

Intestazioni: Comune di Piteglio, Piteglio (Pistoia), sec. XIII - 1775

Storia amministrativa:
Le origini di Piteglio, piccolo comune situato al centro della Val di Lima, risalgono all'epoca delle guerre che opposero i Romani alle tribù dei Liguri 1 . Impegnati nella campagna contro queste tribù, i Romani procedettero alla occupazione del territorio, favorendo l'insediamento dei coloni, considerati una presenza determinante per assicurarsi prima il controllo e poi il dominio sulla zona 2 , originando così quel processo di romanizzazione che non si arrestò con l'espulsione dei Liguri, ma, al contrario, andò ad intensificarsi. L'arrivo dei coloni era stato preceduto dalla costruzione di strade, impresa tutt'altro che facile da realizzare vista la conformazione del territorio montano, ma necessaria non solo per dare vita agli insediamenti, ma anche per consentire il loro stabilizzarsi. E Piteglio sembra che sorgesse proprio lungo il percorso di un'antica via che si staccava dalla Cassia per risalire la montagna. La prima testimonianza documentaria del toponimo Pitellio è costituita da una carta di donazione del 1040 fatta alla canonica della cattedrale di San Zeno, mentre il primo documento nel quale è citata la pieve di Piteglio, dedicata a Santa Maria Assunta, è una cartula offersionis datata 1074. La pieve, costruita intorno alla metà del secolo XI, si trovava fuori del centro abitato e solo nel corso dei secoli XII e XIII, verificandosi anche nella Montagna pistoiese il fenomeno dell'incastellamento delle pievi, si provvide ad adattare a pieve una chiesa castellana situata nel punto più alto della rocca. Il vescovado pistoiese assoggettò nel corso del IX secolo Piteglio, insieme a Popiglio e Lizzano, esercitando sulla zona un potere che però dovette ben presto difendere di fronte agli attacchi dei feudatari del contado, in particolare dalla famiglia dei conti Guidi di Modigliana che, per le loro estese proprietà e per i loro numerosi castelli, di fatto avevano il controllo del territorio della Montagna. Il primo riconoscimento ufficiale del loro dominio avvenne nel 1191 con il diploma con il quale l'imperatore Arrigo VI concedeva al conte Guido Guerra dei conti Guidi di Modigliana il castello di Piteglio, San Marcello e Popiglio 3 . A modificare ulteriormente l'assetto del territorio intervenne il comune di Pistoia che, attraverso il controllo e la difesa delle strade lungo le quali si svolgeva il traffico commerciale, estese il proprio dominio alle aree montane. La prima notizia della dipendenza del comune di Piteglio da Pistoia è testimoniata dal Liber focorum redatto nel 1244 con lo scopo di disegnare e quindi definire la distribuzione degli insediamenti sparsi nel distretto, descrivendoli anche dal punto di vista demografico, dato questo che suscita il maggiore interesse. Piteglio, compreso all'interno della circoscrizione di porta S. Andrea, della quale facevano parte anche San Marcello, Gavinana e Popiglio 4 , contava allora 84 "fuochi", per un totale di 420 abitanti, tutti popolani, nessuno dei quali era dichiarato "pauper", ossia giudicato non in grado di pagare le tasse. Di dieci anni più tardi è l'altra fonte importante per gettare luce sulla storia del comune montano, il Liber fìnium, redatto nel 1255 al termine del conflitto che aveva visto la vittoria della guelfa Firenze sulla ghibellina Pistoia. L'ostacolo maggiore che la città del giglio si trovò ad affrontare fu quello di governare un territorio che non conosceva affatto e per questo pieno di insidie e per giunta martoriato da continue guerre locali, mosse nel tentativo di strappare anche piccole porzioni di territorio ai comuni confinanti. La soluzione al duplice problema fu rappresentata proprio dalla scrittura del Liber finium nel quale si procedeva ad una descrizione dettagliata dei singoli comuni con loro confini, ottenendo così la chiarezza necessaria a far cessare le lotte locali, e nello stesso tempo fornendo al governo centrale una, per così dire, "mappa" del territorio 5 . Da questa rilevazione risultava che il comune di Piteglio si estendeva su un territorio confinante con Popiglio, San Marcello, Mammiano, Calamecca e Crespole. Questo piccolo comune, situato in una zona strategica in quanto al centro della Val di Lima, era retto da un podestà, di nomina pistoiese, rappresentante del potere centrale, al quale era affidata l'amministrazione della giustizia; lo affiancavano nel suo incarico un notaio e un camarlingo 6 . La fine del XIII secolo vide la Montagna teatro di lotte che contrapposero la famiglia guelfa dei Panciatichi a quella ghibellina dei Cancellieri. Di fronte ad una situazione divenuta ormai ingovernabile, Firenze decise un ingente impiego di militi, riuscendo con grande fatica a stabilire il controllo del territorio. In questo già difficile momento di instabilità si inserì anche la compilazione del Liber hominum et personarum, voluta da Giano della Bella, nel quale vennero iscritti gli evasori fiscali, dei quali ben 129 erano residenti in Piteglio. Il ristabilimento della legalità e della pace si raggiunse nel 1296, in seguito anche alla concessione di considerevoli sgravi fiscali 7 . L'anno che segnò la svolta nella storia del governo della Montagna fu il 1330. In quell'anno infatti, in seguito alle guerre che avevano opposto le truppe di Castruccio Castracani, signore di Lucca con mire mal celate su Pistoia, a quelle dei fiorentini, si insediò per la prima volta in San Marcello il "capitano della Montagna", una magistratura con carattere di eccezionalità e della durata trimestrale, alla quale vennero attribuite funzioni militari e di controllo sulle podesterie 8 . Con l'istituzione del Capitanato si iniziò a tracciare quel lento ma costante cammino che portò i comuni della Montagna a perdere la propria autonomia in nome della centralizzazione del potere in San Marcello, cammino che avrà il suo culmine nell'istituzione del Vicariato prima (1772) e della Comunità della Montagna poi (1775) 9 . Il primo passo verso tale centralizzazione fu la soppressione, nel 1366, dei podestà di tutti i comuni della Montagna e il trasferimento del potere militare e giudiziario al capitano. Il trattato stipulato nell'ottobre del 1373 tra Pistoia e Firenze, con il quale si stabiliva là nomina da parte di Firenze del capitano, tracciava i confini della giurisdizione di questa magistratura che, mantenendo la sede in San Marcello, abbracciava Piteglio, Popiglio, Gavinana, Lizzano e Cutigliano, ai quali si aggiunsero nel corso dei primi anni del secolo XV anche Crespole, Calamecca e Lanciole 10 . La presenza del capitano però non fu sufficiente a decretare la fine delle lotte che continuarono ancora nel XV secolo. Schierato, come gran parte dei comuni della Montagna, con la fazione dei Cancellieri, Piteglio fu invaso dalle truppe fiorentine e lucchesi, che, per ovvie ragioni strategiche, non distrussero il castello 11. Fu solo con il XVI secolo che si giunse a vedere la conclusione delle guerre: la presenza di una guarnigione permanente dell'esercito fiorentino posta a presidiare i castelli della Montagna, riuscì a scrivere la parola fine alle lotte interne, mentre continuarono gli scontri con la confinante Lucca. Piteglio, benché entrato fin dalla seconda metà del XIV secolo nel raggio di controllo del capitano, mantenne, come gli altri comuni della Montagna, la propria autonomia. Retto da un vicario, la cui carica era di durata quadrimestrale, assistito da un consiglio, era governato secondo leggi proprie. Il vicario, il cui nominativo era estratto da un'apposita borsa, aveva il potere di proporre le leggi e le riforme, da discutersi poi all'interno del consiglio, di riunire il consiglio stesso e di procedere alla nomina o all'incanto delle altre cariche comunali. Gli statuti prevedevano la carica del cancelliere, del camarlingo, degli stimatori dei beni e della guardia campestre, alla quale era affidato il difficile compito di vigilare sulla conservazione del territorio. Per quanto riguardava il camarlingo, carica posta all'incanto, era contemplata la presenza, accanto al camarlingo generale, anche del camarlingo detto "dei viveri", che nei periodi di carestia era responsabile della distribuzione di farina di castagne alle famiglie bisognose. L'amministrazione della giustizia sia civile che criminale, affidata in un primo tempo al podestà che vi risiedeva, fu trasferita al capitano della Montagna che dal 1361 iniziò ad esercitare limitate funzioni sia in ambito civile che criminale fino a divenire, dopo il 1366, anno in cui furono sollevati tutti i podestà dei singoli comuni, l'unica autorità giudiziaria, oltre che politica e militare. La stessa organizzazione di Piteglio la ritroviamo negli altri comuni della Montagna; a Popiglio, Crespole, Calamecca e Lanciole la vita politica e amministrativa era regolata da statuti, redatti in epoche diverse e successivamente rivisti, che ponevano al vertice il vicario, al quale si affiancava il consiglio. Il cancelliere era presente, in qualità di scrivano e notaio, alle riunioni del consiglio. La riscossione delle imposte era affidata al camarlingo generale; al camarlingo dei viveri era affidato il difficile compito di provvedere il cibo e quant'altro fosse necessario alla popolazione per superare i periodi di carestia 11 . L'innovazione istituzionale che causò una vera e propria scossa all'autonomia dei comuni della Montagna fu introdotta dal decreto del 18 aprile 1646, con il quale la Pratica Segreta di Pistoia, magistratura subentrata dal marzo del 1556 ai Quattro Commissari fiorentini come responsabile dell'amministrazione del territorio della Montagna, stabiliva la nomina, da parte del "centro", di un unico cancelliere per la Montagna, sollevando dal loro incarico i cancellieri presenti nei singoli comuni 12 . Non si trattava di una novità in assoluto, in quanto la figura di un cancelliere unico della Montagna, nominato dal Consiglio generale della Montagna, era infatti già contemplata negli statuti del Capitanato redatti nel 1548. La sostanziale differenza tra le due figure di cancelliere è racchiusa nelle funzioni e nei compiti loro attribuiti. Negli statuti del 1548 il cancelliere era presentato come uno scrivano e notaio; il decreto dell'aprile 1646, affidandogli il compito di assistere e vigilare su tutti i "negotii publici di quel Capitanato et di ciascheduna comunità" 13 , e di visitare periodicamente le comunità della Montagna per assicurarsi che "li negozi di quelle vadano correttamente", lo trasformava nel supervisore dell'attività dei singoli comuni 14 . Tra i compiti e obblighi del nuovo cancelliere unico della Montagna figurava anche quello di "ricevere in consegna et custodire tutti i libri e le scritture di ciascheduna comunità". Con questa disposizione si ordinava il deposito delle carte relative all'amministrazione delle singole comunità nell'archivio della cancelleria di San Marcello, obbligo che ebbe una notevole rilevanza nella storia della conservazione della documentazione 15 . Dal punto di vista politico, il decreto del 1646 sancì di fatto la perdita dell'autonomia da parte delle singole comunità: il potere centrale attraverso la figura del capitano e del cancelliere esercitava la propria influenza sulla vita amministrativa e politica di tutto il territorio. Fu con l'epoca delle riforme leopoldine che venne completamente mutato il quadro istituzionale della Montagna. La prima innovazione si ebbe in materia giudiziaria: al Capitanato, responsabile dell'amministrazione della giustizia civile e criminale, subentrò con il decreto del 1772 il Vicariato maggiore della Montagna che esercitava la sua giurisdizione criminale e civile su tutto il territorio della Montagna 16 . Al nuovo magistrato vennero affidate incombenze inerenti alla vigilanza del territorio e al mantenimento dell'ordine pubblico. Dal 1777 si stabilì, per quanto riguardava l'appello per i processi criminali istruiti dal vicario, che questo dovesse essere presentato al "Supremo tribunale di giustizia" 17 . Se il decreto del 1772 interessò solo la materia giudiziaria, di ben altra portata furono le conseguenze provocate dal decreto del 24 aprile 1775, che, entrando in vigore il primo maggio 1775, istituiva la Comunità della Montagna pistoiese con sede in San Marcello, della quale furono chiamati a far parte, San Marcello, Piteglio, Popiglio, Lanciole, Crespole, Calamecca, Cutigliano, Gavinana, Lancisa e Spignana, Mammiano, Sambuca, Campeda, Frassignone, Pavana e S. Pellegrino 18 . La nascita della nuova unica Comunità inglobava in quello che il legislatore stesso definì "un sol corpo economico ed amministrativo" gli antichi comuni della Montagna, ne aboliva le magistrature e gli statuti che fino ad allora ne avevano regolamentato la vita politica e amministrativa, spazzando via ogni possibile forma di autonomia 19 .