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Compagnia della Santa Croce

Sede: Lucignano (Arezzo)

Date di esistenza: sec. XVI metà - 1785

Intestazioni: Compagnia della Santa Croce, Lucignano (Arezzo), sec. XVI metà - 1785

Storia amministrativa:
Al momento delle soppressioni leopoldine erano attive a Lucignano quattro compagnie religiose che, fondate intorno alla seconda metà del Cinquecento, erano impegnate nelle tradizionali pratiche di devozione 1 ed in quelle di pietà relative al soccorso dei poveri e degli ammalati ed alla sepoltura dei defunti. Si trattava della Compagnia di S. Rocco e di quelle della S. Croce, del Corpus Domini e della Ss. Annunziata.
<...> Relativamente alla Compagnia della S. Croce, non è pervenuto il testo statutario documentato dal Baroni, che questi afferma essere stato redatto nel febbraio 1602 e approvato dall'autorità ecclesiastica il 22 giugno successivo 2 . Il testo prevedeva le figure del priore, dei rettori e degli altri ufficiali (camarlingo, cancelliere, infermieri), che si possono ritenere tipiche di tutte le compagnie religiose e quindi anche di quelle del Corpus Domini e di S. Rocco.
Le compagnie di Lucignano erano titolari ciascuna di un oratorio, tutti situati nei pressi della Chiesa di S. Francesco, dove venivano celebrate le cerimonie religiose, alle quali i confratelli di ciascuna partecipavano indossando un mantello di colore diverso. Proprio per l'abbigliamento, la compagnia dell'Annunziata era detta anche dei battuti neri, quella di Santa Croce era detta dei Bianchi, quella di S. Rocco dei Rossi, quella del Corpus Domini dei Turchini. Al 1563, data a cui risalgono gli statuti della Compagnia dell'Annunziata, era già attiva la Compagnia della S. Croce, come attesta una supplica rivolta al Granduca Cosimo I affinché una parte delle rendite di quella Compagnia fosse destinata al restauro del monastero di S. Margherita 3 . Subito dopo dovettero essere state fondate anche le altre due.
<...> L'editto, pubblicato il 21 marzo 1785, con cui le compagnie furono soppresse 4 , fu preceduto dalla pubblicazione di uno studio di Lorenzo Mehus, inteso a dimostrare il fine morale del provvedimento. All'intenzione di favorire la moralizzazione dei costumi dei religiosi e di riportare le corporazioni all'esercizio delle originarie finalità spirituali, si accompagnò tuttavia la volontà di porre un freno all'estendersi delle proprietà ecclesiastiche che, bloccate dalla legge sulla manomorta e dalla conseguente inalienabilità, erano divenute per la maggior parte improduttive e male amministrate.
I beni delle compagnie soppresse furono incamerati nei patrimoni ecclesiastici delle diocesi di appartenenza 5 , istituiti con una legge del 30 ottobre 1784, cui fece seguito una serie di provvedimenti intesi, appunto, ad abolire i privilegi legati al foro ecclesiastico e quelli di natura economica, soprattutto rivolti a modificare l'inalienabilità delle proprietà e la collazione di benefici da parte di Roma. Il ministero religioso e sociale del parroco per l'educazione e la cura delle anime fu ritenuto dal granduca sufficiente a garantire tutte le necessità dei fedeli e, in tal senso, vennero trasferiti al clero secolare delle parrocchie molti dei benefici goduti da quello regolare dei conventi. Fu anche assegnata ai parroci una congrua dotazione per la propria sussistenza, insieme al controllo delle Compagnie di carità, istituite contestualmente in ogni parrocchia, che avrebbero dovuto essere attivate a partire dal primo maggio 1786 6 .
Le Compagnie di carità dipendevano direttamente dal parroco, che ne era il rettore, ed avrebbero dovuto accogliere gli uomini, di età superiore ai diciotto anni, che avessero richiesto di aderirvi. Non avevano un proprio patrimonio da amministrare e le attività dei confratelli - che avrebbero adottato la sola cappa bianca, senza altri segni distintivi o stendardi - dovevano svolgersi sotto la protezione del santo patrono della cura parrocchiale. I confratelli avrebbero presenziato alle funzioni parrocchiali e svolto attività pie, conducendo i ragazzi alla dottrina cristiana, assistendo i malati, seppellendo i morti e distribuendo sussidi ai poveri, secondo quanto prescritto dai capitoli, pubblicati lo stesso 21 marzo, e comuni a tutte le compagnie.
Nella fase transitoria precedente all'effettiva istituzione delle nuove compagnie, gli amministratori dei patrimoni ecclesiastici dovettero provvedere, di concerto con i parroci, alla sepoltura dei defunti e agli altri obblighi non differibili e procedere contestualmente alla riscossione dei crediti e al pagamento di eventuali debiti degli enti soppressi. I beni di questi ultimi furono stimati e venduti, ad eccezione di quelli che i vescovi ritennero di assegnare alle cure o ad altri servizi, mentre gli arredi sacri furono inventariati e, di concerto con il segretario del Regio diritto, donati, secondo necessità, alle chiese curate della diocesi.
A Lucignano, al momento delle soppressioni, i beni delle compagnie passarono, come stabilito, al Patrimonio ecclesiastico di Arezzo, con eccezione di alcuni reliquiari e di una croce precedentemente appartenuti alla Compagnia della Ss. Annunziata che, dopo essere stati inventariati come prescritto dalla legge, furono spostati presso la collegiata di S. Michele Arcangelo eretta nella cura di Lucignano 7 . Negli anni successivi altri oggetti sacri e quadri furono richiesti a vario titolo dal parroco della stessa Collegiata 8 .
Gli oratori utilizzati dalle compagnie soppresse per le loro celebrazioni, ebbero sorti diverse. La chiesa della compagnia della Ss. Annunziata passò alla Compagnia di carità secondo le indicazioni della legge 9 , mentre quella della compagnia del Corpus Domini, rimasta abbandonata per un certo periodo, fu destinata successivamente all'Ospedale di S. Anna che, in occasione della ristrutturazione eseguita nella primavera del 1787, la utilizzò come ricovero dei malati 10 .
Anche i benefici dotali e caritativi esistenti nel territorio passarono alle parrocchie e vennero erogati a favore dei popoli dove precedentemente aveva avuto sede l'istituzione soppressa. A Lucignano rimase pertanto integro il patrimonio dell'eredità Spagna Stefani 11 , destinato da Pietro Spagna con il proprio testamento del 1609, all'erogazione di doti annuali alle fanciulle povere della comunità.