Una rubrica dello Statuto (vol. 4, framm. 1) prescriveva che il Podestà facesse convocare il Consiglio generale per fargli deliberare la nuova Libra da farsi ed eleggere chi la doveva imporre in Prato e nel Distretto per estinguere il debito comunale. Gli eletti si chiamavano allibratori perché dovevano scriere in appositi registri le persone che dovevano pagare l'imposta che era ugualmente repartita tra gli abitanti di dentro e di fuori le mura. Lo stesso Consiglio determinava la quantità del dazio da imporre e ne rendeva nota la causa. La Libra si raccoglieva da otto cittadini scelti dal Capitano, uno per Porta, e quando si facevano i pagamenti erano presenti i camarlinghi del Comune e il Capitano. I collettori non potevano essere obbligati ad accettare l'ufficio; chi l'accettasse aveva divieto per due anni. Il Podestà doveva egli stesso o per mezzo di ambasciatori rivolgersi al Vescovo e al Proposto di Prato perché piacesse loro disporre che le chiese di Prato e del Distretto pagassero la quota del debito di cui sarebbero state gravate. Gli uomini delle ville del Distretto dovevano farsi da sé la Libra e dividersi la somma loro assegnata dal Consiglio. La Libra era un'imposizione diretta ragguagliata sull'estimo dei beni dell'allibrato e valutata con una percentuale variabile secondo l'ammontare del debito che si voleva estinguere o della somma di cui il Comune aveva bisogno; talvolta però, sotto il suo nome, andavano vere e proprie prestanze determinate da straordinarie o urgenti necessità. Il Pagnini, Della Decima ecc., vol. I, dice che le prestanze furono tributi o imprestiti forzati imposti ed esatti per teste o persone e non sui loro beni.